Si indaga sul pestaggio di un finanziere che stava facendo accertamenti su una società legata alla coop di Buzzi. Il boss rosso trasferito a Nuoro

Si indaga sul pestaggio di un finanziere che stava facendo accertamenti su una società legata alla coop di Buzzi. Il boss rosso trasferito a Nuoro

RomaCoop rosse e mafia. Nulla di nuovo per il procuratore nazionale antimafia Franco Roberti. Quello che sta emergendo oggi con l'inchiesta Mafia Capitale era già noto più di vent'anni fa, quando però gli investigatori non disponevano dei mezzi di oggi per scoperchiare il malaffare. Anche allora, dunque, c'era un mondo di mezzo che metteva in collegamento «quelli di sopra» con «quelli di sotto», come spiega nelle carte dell'indagine romana l'ex Nar Massimo Carminati.

Roberti parla a un convegno a Napoli dell'Anm sulla legalità. Le sue parole sono significative: «Il paradigma mafioso che vedeva d'accordo imprenditori, politici corrotti e criminalità organizzata era già affiorato a metà degli anni '90 nelle inchieste sulla ricostruzione post-terremoto a Napoli, ma non riuscimmo a ottenere le condanne per associazione mafiosa perché non disponevamo degli attuali strumenti investigativi». Oggi è diverso e i risultati si vedono. Vent'anni fa andò diversamente. Il procuratore lo spiega così: «Contestammo l'associazione mafiosa alle coop rosse, le stesse coinvolte nell'inchiesta di Roma, che erano venute a spartirsi gli appalti della ricostruzione con politici e camorra, ma furono assolte. Rimpiango di non aver avuto 25 anni fa mezzi come le intercettazioni ambientali, che oggi fanno emergere chiaramente il patto tra le cooperative di Salvatore Buzzi, i politici corrotti e la mafia». Unica differenza rispetto al passato, secondo Roberti, è la «sottomissione dei politici alla mafia, non viceversa».

E che a Roma la mafia esiste, lo ha confermato ieri il tribunale del Riesame. Quella messa in piedi da Carminati e Buzzi non è un'associazione a delinquere qualunque dedita alla corruzione per accaparrarsi gli appalti del Campidoglio, dunque, ma un'associazione mafiosa a tutti gli effetti. I giudici, confermando il carcere per Carminati, Riccardo Brugia, Roberto Lacopo e Fabrizio Testa, hanno confermato l'impianto dell'accusa sulla matrice mafiosa dei reati, puntellando così l'inchiesta del procuratore capo Giuseppe Pignatone. Dalla quale ogni giorno arrivano novità. L'ultima sarebbe lo stretto legame, forse addirittura di parentela, di un parlamentare con uno degli imprenditori coinvolti e indagati per corruzione. Si indaga anche sul pestaggio, avvenuto lo scorso aprile, di un finanziere che stava svolgendo accertamenti su una società legata alla cooperativa di Buzzi. Quest'ultimo, intanto, è stato trasferito in un carcere di massima sicurezza. Come un mafioso vero. Lontano dai luoghi nevralgici dell'inchiesta sulla mafia romana, quella di cui sarebbe stato il dominus con Carminati, e dagli altri detenuti in cella per la stessa indagine. Il signore delle cooperative, che faceva affari anche con la 'ndrangheta, è arrivato mercoledì nel penitenziario sardo di Bad'e Carros ed è guardato a vista nell'ala di alta sicurezza che ospita altri carcerati ritenuti pericolosi, in regime di 416 bis. Carminati&Co, invece, sono rimasti a Roma, a Regina Coeli, dove l'ex Nar è nella cella occupata prima di lui da Erich Priebke. Mangia poco e non parla con nessuno. Il «mondo di mezzo» non c'è più, ora le regole sono altre e non è più lui a dettarle. Il sindaco Ignazio Marino ha deciso, intanto, che Roma si costituirà parte civile al processo. Da un'informativa dei Ros depositata giovedì al tribunale del Riesame salta fuori un nuovo appalto, da 800mila euro, per la manutenzione delle piste ciclabili della città ottenuto da Buzzi grazie all'aiuto di Claudio Turella, un funzionario del servizio Giardini che in cambio del suo interessamento avrebbe chiesto 100mila euro. «Richiesta - scrivono i Ros - poi rinegoziata in 30mila euro come prezzo per l'atto contrario ai doveri d'ufficio». «Gli davamo la paghetta pure a lui», dice Buzzi in un'intercettazione riferendosi a Turella.

A casa del funzionario gli investigatori hanno sequestrato oltre 570mila euro in contanti e ora la Procura sospetta che tutti quei soldi abbiano qualcosa a che fare con il furto di un pc avvenuto all'indomani degli arresti proprio negli uffici del servizio Giardini.

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