L'accelerazione sulle procedure di estradizione degli ex brigatisti fermati in Francia. Quella sulla riforma del processo penale legata a doppio filo ai fondi del Pnrr, con la nomina pochi giorni fa di cinque commissioni che dovranno scrivere nel dettaglio le norme già approvate dal Parlamento. E poi il cantiere più difficile, quello della riforma del Csm, dopo gli scandali che hanno macchiato la magistratura, con i tempi che stringono e lo scontro aperto tra i partiti. Sullo sfondo la partita del Quirinale, dove il suo nome è rimasto sempre tra i papabili.
Poche e misurate dichiarazioni, così come le apparizioni pubbliche, scandiscono il mandato del ministro della Giustizia Marta Cartabia, che ha già incassato l'ok definitivo alla riforma del processo penale e il via libera del Senato a quella del processo civile. E il suo profilo di «caratura tecnica, e mai politica», da giurista, è quello a cui guardano i molti che sperano di evitare il passaggio di Draghi al Colle e la connessa fine della legislatura con voto anticipato. Una figura vista come «non divisiva» nel caso in cui Mattarella ribadisca il suo no a un mandato bis, anzi un «elemento di stabilità» per il governo. Cartabia potrebbe contare sul sostegno di chi ha appoggiato la riforma della giustizia, osteggiata invece dai Cinque stelle. Del resto la spaccatura sulle modifiche al processo penale che hanno superato l'abolizione della prescrizione dell'ex ministro grillino Alfonso Bonafede si è ricomposta sotto la mediazione imposta da Draghi ai partiti. E davanti alle critiche anche dure arrivate dal mondo della magistratura sul nodo dell'improcedibilità, Cartabia oggi ribadisce che «il nostro obiettivo è che tutti i processi finiscano e che finiscano nei tempi: l'improcedibilità è come se fosse extrema ratio. Speriamo che non si arrivi mai a doverla attivare». Intanto il ministro ha appena firmato il decreto che costituisce cinque gruppi di lavoro per l'attuazione della legge delega: 48 membri tra professori universitari, magistrati e avvocati. Le proposte finiranno sul tavolo del Consiglio dei ministri. Tre gruppi dedicati alla riforma del processo penale, uno al sistema sanzionatorio e uno alla giustizia riparativa. Tema su cui il ministro, ancora da presidente della Corte costituzionale, ha sempre manifestato sensibilità. E su cui propone oggi «sanzioni sostitutive alle pene detentive brevi, per evitare inutili passaggi in carcere che sono dirompenti, per il carcere e le persone», senza nascondere critiche «all'abuso del diritto penale».
Ma la sfida di queste settimane sarà trovare una nuova mediazione tra le forze politiche, questa volta sulla riforma del Csm. La Guardasigilli vuole garantire una nuova legge elettorale per il prossimo Consiglio superiore, quello attuale scade a luglio: «Abbiamo davanti a noi una grande occasione di rinnovamento della fiducia nel fondamentale compito affidato alla magistratura». Si apre però una fase complicata per riuscire a presentare la riforma entro fine anno.
Nulla di fatto nell'ultimo confronto, pochi giorni fa, con i capigruppo di maggioranza, con cui individuare anche i nuovi criteri per gli incarichi direttivi e semidirettivi, oltre che nuovi paletti alle cosiddette porte girevoli tra magistratura e politica: «È stato un incontro interlocutorio, molti temi non sono stati toccati, come ad esempio quello delle porte girevoli tra magistratura e politica, e credo che dovremo riaggiornarci», spiega Pierantonio Zanettin, capogruppo di Fi in Commissione giustizia. Ma il tempo stringe.
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