Sinistra referendaria contro la democrazia

Il nuovo mantra che unisce tutta la galassia progressista, dal centrino alla Cgil passando per il Pd e Bonelli, è un solo referendum. L'ultimo ipotizzato e sventolato in aria come una scimitarra è quello per abrogare l'autonomia differenziata, nuovo moloch capace di tenere insieme anche le opposizioni più indifferenziate

Sinistra referendaria contro la democrazia
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La sinistra ha un problema con la democrazia. La diagnosi è evidente e la prognosi per nulla riservata. I primi sintomi sono stati avvertiti con grande nitore alla fine del 2022, dopo l'ampia vittoria del centrodestra guidato da Giorgia Meloni. Sgomento, sbigottimento, paura e corsa immediata alla demonizzazione. Però, diciamocelo francamente, dopo decenni e decenni di smaccato predominio culturale e di maiuscolo complesso di superiorità, poteva starci. Poteva starci non capire e non vedere chi stava arrivando (minima citazione schleiniana). Anche se per accorgersene non serviva ricorrere ad aruspici o sofisticati mezzi di rilevazione statistica, ma bastava andare a prendersi un caffè al bar. Due anni fa, questo sgomento, potevamo comprenderlo. Due anni dopo, no. E torniamo sulla diagnosi: evidenti problemi con la democrazia. Perché, dopo i risultati delle europee, il copione è stato il medesimo: stesso stupore, stesso panico, stesso risentimento di fronte alle scelte degli elettori. Stessa incomprensione di quello che si muove al di sotto delle torri d'avorio che svettano sulle zone a traffico limitato delle metropoli.

Ma ora, il canovaccio si arricchisce e il paradosso si moltiplica: la sinistra che snobba il popolo ora vuole consultare il popolo per bloccare le riforme della maggioranza eletta dal popolo. Il nuovo mantra che unisce tutta la galassia progressista, dal centrino alla Cgil passando per il Pd e Bonelli, è uno solo referendum. L'ultimo ipotizzato e sventolato in aria come una scimitarra è quello per abrogare l'autonomia differenziata, nuovo moloch capace di tenere insieme anche le opposizioni più indifferenziate. Autonomia differenziata che, peraltro, nasce grazie alla modifica del titolo quinto della Costituzione voluta dal governo di Giuliano Amato nel 2001. Strano caso di amnesia collettiva a sinistra... Tornando al referendum l'idea è semplice: farlo promuovere dalle cinque regioni governate dal centro sinistra e poi passare la palla agli italiani per assestare una sberla al governo. Molto facile a parole, molto più complesso nei fatti. Ma in realtà non si parla di un solo referendum, bensì almeno di due. Perché, nel frattempo, la Cgil ha raccolto più di mezzo milione di firme per fare tabula rasa del detestatissimo Jobs Act di Matteo Renzi. Non solo, se le riforme costituzionali - premierato, autonomia, e giustizia - non dovessero raggiungere la maggioranza qualificata dei due terzi dei voti nelle due aule, passerebbero al vaglio del voto popolare. Orizzonte che, con ogni evidenza, è lo scopo ultimo di un'opposizione che ha rifiutato ogni sorta di dibattito parlamentare e di interlocuzione con la maggioranza sulle modifiche alla Carta «più bella del mondo», puntando tutto sul referendum. Solo che a questo punto saremmo a quota tre consultazioni: un ingorgo referendario. E torniamo al rapporto malato con la democrazia che, dopo essere stata trattata come uno stolido e ingombrante arnese, viene repentinamente rispolverata. Meglio tardi che mai, certo.

Ma permane un dubbio: la sinistra più impopolare degli ultimi anni, dopo avere snobbato e in taluni casi sbeffeggiato gli elettori, pensa davvero di trovare la sua rivincita nei confronti della maggioranza con un referendum? Troppo tardi.

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