La sintonia tra Draghi e Merkel non sblocca il dossier migranti

Al Consiglio Ue non ci sarà un'intesa sui ricollocamenti. Il premier: ribadire il principio che è un problema comune

La sintonia tra Draghi e Merkel non sblocca il dossier migranti

I due si conoscono da tempo, tanto che - aprendo la breve conferenza stampa che fa seguito al bilaterale - Angela Merkel non ha alcuna remora a ricordarlo. «Non è la prima volta che Mario Draghi entra nella Cancelleria federale e nel mio ufficio, ma è la prima volta che lo fa da presidente del Consiglio...», sono le prime parole della cancelliera tedesca. A confermare una sintonia che esiste dai giorni in cui il premier italiano era alla guida della Banca centrale europea, incarico che dal 2011 al 2019 lo ha portato ad avere una certa consuetudine con capi di Stato e di governo. Al punto che c'è chi ha visto in questo primo bilaterale una sorta di ideale passaggio di consegne tra quella che fino ad oggi è stata la voce forte dell'Europa e chi, quando a settembre uscirà di scena, potrebbe prenderne il posto. Draghi, infatti, non gode solo della stima dei leader europei («Mario è un maestro, ai Consigli Ue quando parla lui stiamo tutti zitti e ascoltiamo», ha detto tre giorni fa il premier spagnolo Pedro Sanchez). Ma pure di un canale preferenziale con Joe Biden e la nuova amministrazione americana.

Gli ottimi rapporti e l'intesa tra Draghi e Merkel, però, non sono stati sufficienti a sbloccare un dossier delicato come quello dei migranti. Questione che sarà affrontata anche al Consiglio Ue in programma domani e giovedì a Bruxelles, ma da quale non uscirà alcuna conclusione sul tema chiave dei ricollocamenti. Un nodo che non si può sciogliere in qualche mese, nonostante il pressing del governo italiano e il grande credito di cui gode all'estero il nostro premier. Lo sa bene anche Draghi, ben consapevole che i Paesi del Nord - e anche quelli cosiddetti di transito - insistono nel sostenere il regolamento di Dublino (per cui l'accoglienza spetta al Paese di primo approdo). L'ex numero uno della Bce, però, auspica che l'Europa metta finalmente fine alla politica dei fronti contrapposti o degli assi privilegiati fra questa o quella cancelleria. E chiede alla Merkel che il Consiglio Ue ribadisca quantomeno il principio politico per cui tutti i Paesi devono farsi carico del problema migratorio. Sarebbe già un piccolo passo in una trattativa lunga, complicata e in stallo anche perché i mesi caldi degli sbarchi sono ormai arrivati. Insomma, ci vorrà tempo. Anche perché il cosiddetto «modello Turchia» non è esportabile in Libia, dove non c'è un governo stabile con cui «trattare».

Non a caso, interpellato sull'argomento durante la conferenza stampa a Berlino, il presidente del Consiglio spiega che «sui meccanismi di riallocazione si sta discutendo». E non nasconde che «i negoziati prenderanno del tempo». Insomma, «c'è grande volontà di arrivare a una visione congiunta e di mutuo beneficio», ma non è qualcosa che può avvenire in qualche mese. C'è, invece, una «vicinanza di vedute sulla cosiddetta dimensione esterna». E cioè sul capitolo meno divisivo del dossier immigrazione. Quello, spiega Draghi, che «prevede una maggior presenza dell'Ue in Nord Africa, non solo in Tunisia e Libia, ma anche in Mali, Etiopia ed Eritrea».

Che ci sia una distanza lo conferma anche Merkel. Perché, sottolinea, «sul fronte immigrazione abbiamo situazioni diverse».

«L'Italia è un paese di arrivo, noi siamo colpiti da movimenti secondari», aggiunge la cancelliera. Che sottolinea però come siano «pochissime» le «divergenze d'opinione» tra Berlino e Roma, auspicando una soluzione comune e condivisa.

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