Al governo stanno pensando di rilanciare ancora per altri due mesi (ora che l'emergenza Covid forse è conclusa) lo smart working: non nel privato, ma negli uffici pubblici. Stavolta la ragione non è la lotta al virus, ma il contrasto al caro energia. Per consumare meno si lascerebbero a casa i lavoratori statali. Questa misura si aggiungerebbe all'abbassamento del termostato di un grado, per ridurre dell'8% i consumi, e ad altre misure: dall'obbligo per i negozi di spegnere le insegne dopo le 23 fino alla riduzione del 40% dell'illuminazione pubblica.
Tutto ciò suscita perplessità, dato che non si comprende come si possano mandare a casa i dipendenti pubblici senza che questo generi problemi ai cittadini. Se lasciare al buio le strade potrà comportare più incidenti, è legittimo attendersi che andare all'anagrafe e non trovare nessuno causerà nuovi disagi ai cittadini.
È pure significativo che di un prolungamento dello smart working si parli solo nel pubblico. In certe occasioni le aziende sul mercato ricorrono certo al tele-lavoro, ma quando ritengono sia vantaggioso: per la qualità del servizio, la riduzione dei costi e la gratificazione del dipendente. Non è insomma una soluzione che vada sempre bene, e non a caso Elon Musk ha costretto i dipendenti a tornare in azienda: perché non sempre si può fare a casa quanto si fa in ufficio.
Se si è attenti alla qualità, si guarda allo smart working valutando i pro e i contro. Nel settore pubblico, purtroppo, non abbiamo invece clienti che possano sanzionare rivolgendosi altrove il pessimo servizio che ricevono: abbiamo solo utenti che devono accontentarsi di quanto passa il convento.
Ci sono pure risvolti semi-comici, se è vero che gli uomini di governo vorrebbero evitare lo smart working a rotazione per i dipendenti pubblici, e questo al fine di non consumare energia sia a casa, sia in ufficio. Come se con lo smart working non succedesse proprio questo, dato che non è pensabile di chiudere i palazzi pubblici.
Colpisce, a ogni modo, come gli esponenti del governo Draghi ragionino sempre in termini tecnocratici, persuasi di dover gestire dall'alto l'intera società. E così ci inviteranno a fare meno docce e spegnere la luce, prefigurando già un nuovo «capro espiatorio» in chi non si adeguerà alla nuova moralità di Stato.
La crisi attuale, che non è primariamente energetica, si può invece superare dando più libertà, e non già decidendo a Roma quello che tutti noi dobbiamo fare. Non è di scelte meramente organizzative, insomma, che abbiamo bisogno: specie se minano le nostre libertà e peggiorano la qualità della vita.
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