Società finte e prestanome. Così è nato il buco da 9 miliardi

La criminalità organizzata si è buttata sull'affare degli incentivi statali. Lavori "certificati" persino da detenuti

Società finte e prestanome. Così è nato il buco da 9 miliardi

Supermalus. La voragine da 9 miliardi nei conti pubblici che i bonus edilizi rischiano di creare hanno un beneficiario di tutto rispetto: la criminalità. Basta spulciare i corposi dossier della Guardia di Finanza per scoprire come le modalità delle agevolazioni create dalle misure grilline - che M5s si ostinano a difendere, nonostante le truffe conclamate - abbiano arricchito le tasche di organizzazioni spregiudicate, molto più di quando non dicano i 3,6 miliardi di crediti d'imposta inesistenti sequestrati negli ultimi dodici mesi dalle Fiamme gialle.

I modus operandi che riguardano Superbonus ma anche bonus facciate, bonus ristrutturazione, ecobonus e sismabonus sono abbastanza comuni: crediti che diventano moneta fiscale grazie a ignari condomini vittime di aziende nate in poche ore e intestate a immigrati, nullatenenti, persone irreperibili o con precedenti penali o già condannati per reati gravi, a volte beneficiari indebiti del reddito grillino, che trasferivano i crediti (persino in tranche da 500mila euro) a una serie di prestanome incaricati di rivenderli agli istituti di credito che, inconsapevoli del business illegale, erano pronti a monetizzarli. A volte la truffa è costruita attraverso società dormienti, formalmente riconvertite all'edilizia, spesso incompatibili per dimensioni e importi con le fatture portate a sconto, rendendo impossibile per le banche la necessaria verifica. Secondo una prima interpretazione della cosiddetta «responsabilità solidale» dell'Agenzia delle Entrate «il cessionario che ha acquistato il credito in buona fede non perde il diritto ad utilizzare il credito d'imposta». C'è chi sul sito dell'Agenzia delle Entrate ha certificato di aver svolto lavori edilizi per 34 milioni di euro: peccato fosse detenuto nel carcere di Santa Maria Capua Vetere. I crediti tributari generati spesso finiscono all'estero (Germania ma anche Est Europa e Albania) dopo essere stati vorticosamente ceduti a catena - in maniera illimitata, senza limiti nei passaggi né nella tipologia, e senza alcun presidio di garanzia - da società satellite fittizie o persone fisiche con redditi nulli o modesti. Un sistema che l'ex ministro dell'Economia Daniele Franco definì «tra le più grandi truffe che questa Repubblica abbia visto», tanto che il governo di Mario Draghi dovette varare il decreto «Antifrodi» del 12 novembre 2021 che aggiungeva due passaggi burocratici (visto di conformità e asseverazione della congruità dei prezzi) piuttosto lunghi e complessi, limitando successivamente la platea dei beneficiari, fino al blocco delle cessioni multiple deciso dal dl Sostegni ter firmato da questo esecutivo. Poi con una seconda circolare l'Erario ha cambiato radicalmente idea.

Per la presidente dell'Ordine dei commercialisti di Milano Marcella Caradonna con questa stretta «c'è il rischio che gli operatori che non vogliono utilizzare i crediti in compensazione si attivino per cederli, creando problematiche a livello di sistema». Intanto c'è già una sentenza della Corte di Cassazione che legittima il sequestro preventivo a carico della banca (parte offesa del reato) dei crediti fittizi. La terza sezione penale, con sentenza n°40867 del 28 ottobre 2022 ha stabilito che nelle truffe Superbonus 110% i crediti d'imposta fraudolenti vanno bloccati, perché il credito deriva dall'originario diritto alla detrazione e non è sempre «garantito».

Come è stato possibile che una misura del genere abbia avuto la bollinatura della Ragioneria dello Stato e della Corte dei Conti senza che sia stato fissato un tetto, un plafond, per non andare in difficoltà in termini di equilibri di bilancio? Se l'è chiesto anche un recente studio della Fondazione nazionale dei Commercialisti dal titolo L'impatto economico del superbonus

110%, secondo cui «il costo lordo per lo Stato della spesa indotta dal superbonus 110% nel 2021 sarebbe di 28,126 miliardi anziché 6,788». Da qui a cascata l'impatto che rischia di inguaiare l'Italia di fronte ai partner Ue.

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