Lo spettro delle banlieue, agitato da Beppe Sala. Su Milano ha aleggiato spesso, nel tempo, questa fosca previsione secondo la quale le periferie ambrosiane sarebbero scivolate lungo un piano inclinato, verso un abisso di illegalità già sperimentato in altre capitali europee. Una prospettiva evocata da molti. Compreso l'attuale sindaco.
Non tutti lo ricordano. Sono passati 8 anni da quella che oggi - dopo la rivolta del Corvetto e dopo tante avvisaglie simili - suona come una paradossale auto-profezia. Era il 2016, la città si trovava in piena campagna elettorale e Sala non era ancora il primo cittadino, ma «soltanto» il candidato della sinistra. Un manager, politicamente centrista, posto (dal centrodestra) ai vertici di Expo. E parlando dei quartieri di Milano con «popolazione italiana anziana e immigrati più giovani», auspicava interventi sulla questione sicurezza. «È l'azione numero uno da fare», avvisava in tv a Quinta Colonna, rispondendo a chi gli chiedeva come avrebbe affrontato, se eletto, le occupazioni abusive nelle case popolari. «Rifiuterei il concetto che nel centrodestra sono più duri e forti» - rispondeva - «mentre il centrosinistra è più morbido».
È possibile che, una volta posto alla guida di un maggioranza composta da Pd e alleati di sinistra si sia appunto ammorbidito, o forse qualcosa è andato sorto in questi due mandati quasi pieni. Quella degli agenti è una questione antica, che interessa anche i poteri ministeriali, ma dal canto suo Sala immaginava non solo «più uomini» e «vigilanza aumentata» ma anche «tecnologia riportando cultura e iniziative in periferia».
C'era in lui la stessa consapevolezza mostrata dal rivale Stefano Parisi, candidato del centrodestra. Ma nelle parole di Sala già si intravedeva anche il limite di quella che sarebbe stata la sua azione. E l'esito finale. Chiunque sarà sindaco - tuonava l'attuale primo cittadino - «dovrà affrontare questa situazione, altrimenti ci troveremo con le banlieue parigine tra venti anni». Eccoci, dunque, otto anni dopo, con le banlieue di Milano. «Smettiamola di usare parole a sproposito, non aiuta a capire di cosa stiamo parlando» ribatte su Repubblica Gianni Biondillo, scrittore che vede un conflitto più che altro generazionale. «Dal Corvetto al Duomo ci vuole un quarto d'ora di metropolitana, siamo nel cuore della metropoli lombarda». Eppure, interi quartieri si sono trasformati in serbatoi di ribellismo e illegalità.
E in modo tutt'altro che sorprendente. Milano oggi sembra persa, ma è stato un lungo graduale smarrimento, segnato da appelli dei politici e analisi degli esperti, e costellato da una lunga serie di episodi rivelatori di una occupazione fisica e ideologica; primi vagiti di queste banlieue, da via Padova al Corvetto appunto. «Il rischio c'è. Se non facciamo niente siamo alle banlieue» avvertiva già nel 2010 il sociologo Vincenzo Cesareo, esperto di immigrazione e impegnato nella ricerca sull'integrazione che il Viminale (ministro Roberto Maroni) aveva commissariato alla Cattolica.
L'anno prima un corteo «pro Palestina» aveva invaso il sagrato di piazza Duomo, lo stesso spazio (civile e religioso) che nel 2022 è stato teatro di aggressioni (già viste a Colonia nel 2016) che Maryan Ismail, prima donna «diplomata» come imam, ha definito «Taharrush jama'i», «molestie collettive» di giovani calati in Duomo dalle periferie, anzi dalle banlieue.
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