Il sondaggio conferma che l'Italia "manettara" è un lontano ricordo

Stabili la fiducia nella premier e nel governo. E per tanti le inchieste sono segnali politici

Il sondaggio conferma che l'Italia "manettara" è un lontano ricordo
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Ma Giorgia alla fine è «tranquilla». Parlano i numeri. Rispetto a Tangentopoli è passato un secolo, l'Italia è un altro Paese e la pubblica opinione è molto meno manettara di quanto comunemente si pensi. Lo dimostra uno studio realizzato da Alessandra Ghisleri (foto) e pubblicato da La Stampa. Fratelli d'Italia, sull'onda forse delle inchieste, perde quasi due punti percentuali, quasi tutti a favore della Lega, che infatti sulla magistratura ha preso una posizione più sfumata. Ma il governo è considerato stabile dalla maggioranza relativa degli italiani, 44,1% nonostante le difficoltà sul Pnrr. E il 47,9 pensa che l'esecutivo non sia indebolito dai casi Delmastro, La Russa, Santanché. Le intenzioni di voto premiano comunque il centrodestra, 44,7% e non incoraggiano le opposizioni: centrosinistra al 25,3, M5S al 16,3, Terzo Polo attorno all'otto. Qualche perplessità solo sulla reazione della Meloni a queste vicende: un terzo dei cittadini la considera troppo assente. Il venti per cento la vede in difficoltà.

Insomma, dice la Meloni, sono in sella, sto «lavorando con impegno per migliorare il Paese», gli italiani «stanno con me». È quello che spiega in queste ore ai suoi e, più o meno, è anche quello che dirà oggi a Sergio Mattarella, quando salirà al Quirinale e con il capo dello Stato farà il punto sul vertice Nato di Riga e sulla riforma della giustizia. Dunque, ripete, «sono salda», la maggioranza tiene, l'assalto mediatico al governo pare fallito: stando ai vari sondaggi, il suo indice di fiducia rimane stabile sopra il 40 per cento, i due punti persi per colpa delle ultime vicende restano nel campo del centrodestra e un bel pezzo del Paese considera le inchieste «il solito attacco ad orologeria».

Sarà quindi una Meloni rasserenata a comparire al Colle per un colloquio che andrà oltre la routine delle consultazioni istituzionali periodiche. Il presidente ha in mano da qualche giorno il ddl Nordio, i consiglieri giuridici stanno spulciando il testo, c'è qualche dubbio «teorico» e «di opportunità» sull'abolizione dell'abuso d'ufficio e sulla riduzione del traffico d'influenze, però insomma, si tratta di preoccupazioni legate alle recenti tendenze legislative europee. L'Italia, che è già alle prese con il Pnrr, le rate da incassare e la questione migranti, secondo il Colle non ha bisogno di aprire altri fronti con Bruxelles. Nulla però di sostanziale, nessun profilo di incostituzionalità: Mattarella firmerà e affiderà così alle Camere il compito di approfondire la riforma. Del resto non è un decreto, non ci sono questioni di urgenza o di copertura finanziaria e nella storia della Repubblica sarà capitato cinque o sei volte che un capo dello Stato abbia bocciato un disegno di legge. E pure la premier non ha alcuna convenienza a sovrapporre i piani, a mischiare le polemiche sui ritocchi alla giustizia con le indagini che stanno coinvolgendo ministri e personaggi della sua cerchia stretta. L'idea che Palazzo Chigi vuole far passare e che non esiste un conflitto con la magistratura, ma un tentativo di riforma per migliorare il sistema, che deve diventare «veloce, efficiente e più imparziale», seguendo il mandato conferito dagli elettori. Semmai, si legge tra le righe, è una parte delle toghe che veste i panni impropri dell'opposizione.

Impressione confermata dal sondaggio della Ghisleri: quasi il 22% del campione parla di attacco politico all'esecutivo, un altro 12 di «segnali» della magistratura «contro la riforma della giustizia». E comunque un altro quarto degli italiani ritiene che questi casi siamo emersi «per la maggiore visibilità delle posizioni di governo del centrodestra.

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