In Italia non ci sono ancora i fighters di ritorno, i volontari andati a combattere sotto le bandiere del Califfato e a fare esperienza da usare in Occidente, che in Francia e altrove stanno costituendo la manodopera specializzata per gli attacchi terroristici: ma le buone notizie si fermano qui. Perché se i sessanta e passi estremisti che hanno lasciato il nostro paese per i teatri di guerra dell'Isis sono rimasti all'estero (compresi quelli che hanno trovato la morte combattendo la guerra santa), questo non vuol dire che manchino sul territorio della Repubblica i soggetti disponibili per gli attacchi. Tra di loro anche potenziali «soggetti S», come in Francia vengono etichettati gli indagati ad alto rischio.
«Sono molto più di cento quelli che teniamo d'occhio», aveva detto all'inizio dell'anno il ministro degli Interni, Alfano. Nel frattempo, nei confronti di alcuni l'attenzione dei servizi segreti si è trasformata in ordini di cattura: come per i 17 jihadisti arrestati dalla procura di Roma la settimana scorsa, che ruotavano intorno alla cellula di Merano legata al mullah Krekar. Ma gli altri sono ancora in circolazione, a piede libero, perché non ci sono ancora prove sufficienti per arrestarli (o perché, come nel caso dell'albanese Elvis Eelezi, rilasciati dal tribunale del Riesame). Nella zona grigia tra terroristi acclarati e semplici sospettati, l'unico strumento a disposizione per sfoltire le fila dei fanatici è il provvedimento di espulsione dal territorio dello Stato. Nel corso del 2015, sono stati 55 gli integralisti che hanno dovuto lasciare l'Italia su ordine del Viminale. Un numero significativo, ma poco più di una goccia nel mare dei simpatizzanti della guerra santa.
Per avere una idea della vastità del fenomeno, basti pensare che nello stesso periodo sono state compiute 540 perquisizioni in abitazioni di sospetti terroristi e sono stati controllati oltre 56mila individui, 325 dei quali sono finiti indagati in inchieste per terrorismo o per attività di fiancheggiamento.«Siamo nelle vostre strade, l'Isis è tra voi»: lo dicevano apertamente, nei post che pubblicavano sull'account twitter «Islamic State in Rome», i due estremisti arrestati a fine luglio a Milano, Lassaad Briki e Muhammad Wakas, sospettati di organizzare un attacco alla base Nato di Ghedi, per i quali la Procura di Milano questa settimana chiederà il processo per terrorismo internazionale. Cellule spontanee, singoli fanatici che si organizzano per assimilare teoria e pratica della jihad, come buona parte dei terroristi indagati in Italia. Ma ci sono anche segnali precisi per cui l'Italia sarebbe anche terra di passaggio e di manovra per i «colonnelli» dell'Isis, gli strateghi che si muovono da un paese all'altro organizzando la rete. Tra questi, la missione a Milano nel 2013 del terrorista inglese Aine Davis Leslie Junior, che nel capoluogo lombardo soggiornò per quasi una settimana tra agosto e settembre, prima di trasferirsi nel territorio siriano.
Aine Davis, che è sospettato di essere uno dei boia che giustiziano gli ostaggi davanti alle telecamere dell'Isis, soggiornò in una serie di alberghi.
Difficile pensare che fosse una gita di piacere, ma quali contatti abbia stretto Davis in quei giorni non si è potuto accertare. Sullo sfondo, il tema delle masse di profughi che approdano in Italia sui barconi. E che una recente indagine della Procura milanese ha confermato essere gestiti da soggetti legati al terrorismo islamico.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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