Lo "spreco" dei russi. Trent’anni di libertà per esaltare Stalin e la sete di impero

Putin incarna i valori del popolo: nostalgia del passato sovietico, abitudine a mentire, ruolo di superpotenza con licenza di bullismo

Lo "spreco" dei russi. Trent’anni di libertà per esaltare Stalin e la sete di impero

È diventato un mantra: non si può dire che abbiamo un problema con i russi. Al massimo con Vladimir Putin, ma con il suo popolo no. È russofobia! Ormai è difficile argomentare senza attirarsi addosso etichette dal sapore censorio. Eppure si dovrebbe sapere che questo termine esattamente come il suo parente «islamofobia» - è stato inventato con il preciso scopo di tappare la bocca a chi muove critiche scomode. Oggi più che mai, invece, criticare anche severamente certe caratteristiche del popolo russo deve rimanere un diritto, senza per questo generalizzare o, peggio, manifestare odio indiscriminato.
Prendiamo il caso di Svetlana Aleksievic. Ieri sul Corriere della Sera la scrittrice premio Nobel bielorussa (di madre ucraina) è tornata sul tema del suo capolavoro Tempo di seconda mano: esiste in Russia un sentimento profondo, diffusissimo soprattutto nelle sterminate campagne, di nostalgia per il passato sovietico. Una nostalgia fondata sul persistere delle due eredità peggiori di settant'anni di comunismo, l'abitudine perversa alla menzogna e al ruolo di superpotenza vissuto come licenza di bullismo. Decine di milioni di russi ricorda la scrittrice che da decenni scava nella società dell'ex Urss e ne restituisce il sentire autentico - provano da decenni un senso di umiliazione perché nel mondo nessuno ha più paura di loro, e ringraziano Putin che sta restituendo al loro Paese esattamente quel ruolo. Dirlo è offensivo? No davvero, spiega la Aleksievic. È, purtroppo, la verità: con la sua guerra d'aggressione basata su rozze falsificazioni storiche Putin vuol riportarci al Medioevo, e tantissimi suoi compatrioti non tutti, ma tantissimi - lo sostengono perché sono come lui.
Mezzo secolo prima della Aleksievic, un altro gigante della letteratura di lingua russa, Vassili Grossman, aveva denunciato l'aspetto peggiore dell'anima dell'Homo Sovieticus: il bisogno di obbedire a una figura autoritaria. In Tutto scorre... Grossman scrisse che «solo coloro che attentano al fondamento basilare della vecchia Russia alla sua anima schiava sono dei rivoluzionari». Ma ancor oggi, nel 2022, ci tocca assistere alla repressione da parte di Putin proprio di quei potenziali rivoluzionari, di quei giovani assetati di libertà che di nazional-imperialismi conditi di nostalgie staliniane non vogliono sentir parlare.
A proposito di certe nostalgie. Da anni ormai Putin ha recuperato la figura di Stalin, che in Russia era stata bandita già in epoca sovietica. «Baffone» non viene presentato come un eroe del comunismo, ma come il vincitore dei nazisti e soprattutto l'artefice della grandezza nazionale russa. Statue del dittatore terrorista che fece sterminare o languire nei gulag milioni di sovietici riappaiono soprattutto in provincia e non solo nessuno se ne scandalizza, ma vengono perseguitati e incarcerati i dirigenti di Memorial, l'organizzazione russa dedita al ricordo di quegli orrori. La propaganda nazionalista martella perfino gli scolari delle elementari, cui vengono propinati cartoni animati in cui si sostiene che i «fratelli minori ucraini» hanno preso una brutta strada perché sviati dai perfidi americani, ma vanno recuperati anche con la forza, nel comune interesse.
Abbiamo un problema con i russi, sissignore.

In quel Paese trent'anni di libertà sono stati sprecati se vi si può glorificare un mostro come Stalin. In Germania e in Italia fare lo stesso con Hitler e Mussolini, prima che un reato, è considerato giustamente una vergogna. Chissà se i russi impareranno mai.

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