Strada a ostacoli verso la pace Kiev: Donbass libero e si tratta. Ma gli Usa: "Siate più realisti"

Il percorso di dialogo, che precede, di molto, quello di un'eventuale pace tra Russia e Ucraina è estremamente tortuoso e complesso

Strada a ostacoli verso la pace Kiev: Donbass libero e si tratta. Ma gli Usa: "Siate più realisti"

Non passa giorno che non se ne parli. Non passa giorno che queste parole sembrano cadere nel vuoto. Perché il percorso di dialogo, che precede, di molto, quello di un'eventuale pace tra Russia e Ucraina è estremamente tortuoso e complesso. La ragione palese e inequivocabile dell'Ucraina, invasa e semidistrutta, che vuole un addio completo e i russi dal loro Paese, cozza con i progetti russi, naufragati in una guerra per nulla lampo ma non disposti a lasciare l'Ucraina a mani vuote. Nel mezzo, tutto un mondo fatto di appelli, chiusure, aperture, speranze e trattative sottotraccia. Parole, anche qui, ma necessarie per arrivare a un risultato che, comunque, sembra lontanissimo.

«Politicamente e psicologicamente, la Russia non è ancora matura per veri negoziati e ritiro delle truppe. Ma accadrà. Subito dopo la liberazione di Donetsk e Lugansk». La frase di Mykhailo Podolyak, primo consigliere di Zelensky, non è casuale. La pace per l'Ucraina può essere solo una e non deve assomigliare minimamente a una resa. Via i russi e poi parliamo, in sintesi. Anche perché, sempre Podolyak dixit, «il sostegno alla guerra nella stessa Russia sta rapidamente cadendo verso il basso. Dall'oligarca al calzolaio tutti si stanno formando l'opinione che è ora di finirla». Non è solo propaganda. Dalle parti del Cremlino la ritirata da Kherson è stata ribattezzata «la peggiore sconfitta dai tempi del crollo dell'Unione Sovietica». E in un Paese ad altissimo livello di nazionalismo, specie tra i vertici politici e militari, non è un aspetto da sottovalutare. Il dissenso interno effettivamente sta montando. Se il cittadino medio russo non aveva e non ha nessun interesse in questa guerra, il malumore delle alte sfere gioca contro Putin e il suo stretto circolo di fedelissimi. Metterlo da parte è impresa difficile, ma uno zar delegittimato è per forza meno autorevole. Ma potenzialmente anche più pericoloso. Se i russi alle corde decidessero di utilizzare armi tattiche nucleari il loro isolamento sarebbe enorme, ma le conseguenze del conflitto sarebbero indecifrabili. «La Russia continua a rappresentare una minaccia», confermano dall'intelligence di Londra.

Ecco perché, Stati Uniti in testa, si lavora per cercare un dialogo anche per evitare una potenziale devastante escalation. Ma non solo. Il consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan ha consigliato al presidente ucraino Zelensky di prendere in considerazione una posizione negoziale «realistica». Stando a quanto emerso, l'idea made in Usa sarebbe quella di riconsiderare l'obiettivo di Kiev di riprendere il controllo sulla Crimea. Potrebbe essere questa la chiave per un compromesso? Al ribasso, certo, ma nell'idea americana più realistica. E probabilmente migliore di una guerra senza fine. Intanto Il presidente Joe Biden ha assistito al il discorso del ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov al vertice dell'Asean in Cambogia. Lo sottolineano proprio i russi, quasi a voler dimostrare che la loro forza persuasiva rimane intatta. Ma il rischio per Mosca è notevole, anche perché il segretario al Tesoro americano, Janet Yellen ha detto ieri che alcune delle sanzioni imposte alla Russia potrebbero restare in piedi anche dopo la fine della guerra. «Non c'è stato alcuno sforzi da parte della Russia per trattative con l'Ucraina a termini accettabili per Kiev», ha detto. Un colpetto all'uno e uno all'altro. La sintesi più evidente di cosa possa essere un compromesso.

Forte l'appello per un dialogo anche da parte di Papa Francesco che nell'Angelus domenicale parla apertamente di terza guerra mondiale. «Rimaniamo vicini ai nostri fratelli e sorelle della martoriata Ucraina, con la preghiera e la solidarietà concreta. La pace è possibile, non rassegniamoci alla guerra», ha detto il Pontefice. Molto più prosaicamente e con un interesse di fondo evidente, anche il presidente turco Recep Tayyip Erdogan continua a muoversi.

«Stiamo lavorando su come creare un corridoio di pace qui, come abbiamo fatto per il corridoio del grano», ha detto il Sultano.

Chissà che un gioco di interessi, compromessi e mezze concessioni, non possa alla fine risultare decisivo per quello che ormai non è più un conflitto «solo» tra due nazioni.

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