C'è una bomba sospesa non solo sul G 20, ma anche sull'economia italiana ed internazionale. Ad innescarla ci hanno pensato Mosca e Riad annunciando martedì scorso la decisione di tagliare la disponibilità di greggio e ridurre la produzione di almeno un milione e trecentomila barili entro la fine dell'anno. La mossa arrivata alla vigilia del G20 ha obbiettivi assai chiari, ma anche conseguenze assai gravi. Prime fra tutte l'impennata del prezzo del greggio. Il petrolio - già oltre la soglia dei 90 dollari al barile - sembra pronto a superare anche quella dei cento. Come dire che in Italia i prezzi di diesel e benzina, già oltre i due euro, potrebbero toccare punte senza precedenti vanificando i piani energetici del governo Meloni. Ma partiamo dalla fonte dei problemi. Per Mosca il taglio della produzione rappresenta una risposta alle sanzioni occidentali e al «price cap» imposto sul suo petrolio. Per l'irriducibile principe ereditario Mohammed Bin Salman, meglio conosciuto come Mbs, la mossa è l'ennesima risposta ad un presidente Joe Biden che dopo avergli rinfacciato l'eliminazione dell'oppositore Jamal Ahmad Khashoggi aveva promesso di «trasformare in un pariah» lui e il suo regno. La duplice risposta russo saudita arriva mentre a Nuova Delhi si apre un G20 in cui l'amministrazione statunitense deve fare i conti con un paese ospitante che rifiuta le sanzioni a Mosca ed è oggi il maggior acquirente al mondo di petrolio russo. Ma l'India sa di essere in ottima compagnia. La mossa russo saudita punta infatti a regalare maggior concretezza a quell'asse dei Brics deciso a trasformare il G20 in un ring anti-americano dando concretezza all'idea di privilegiare gli scambi in valuta locale e di rinunciare al dollaro come moneta internazionale. Insomma dietro la bomba del petrolio lanciata da Mosca e Riad, ma appoggiata anche dal grande assente Xi Jinping, c'è un conflitto ben più esteso di quello combattuto in Ucraina. In questo complesso panorama internazionale l'Italia rischia, secondo alcuni esperti, di essere la prima a subire i contraccolpi della bomba-petrolio. Per il presidente di Federpetroli Michele Marsiglia l'impennata dei prezzi dei carburanti uniti a quelli del gas, in rialzo ieri fino 16% per poi chiudere a +5,5% a 34,5 euro al megawattora, minaccia di vanificare le misure adottate dal governo Meloni - dal Pitesai (Piano della transizione energetica sostenibile delle aree idonee) fino al Piano Mattei - scaricando sul consumatore finale i pesanti aumenti. Secondo Marsiglia dal 2022 ad oggi non si è riusciti né a dare il via a nuove trivellazioni, né a costruire nuovi impianti capaci di «garantire in prospettiva il 54 per cento del fabbisogno nazionale». La ragione di questo blocco starebbe nel tappo alle nuove iniziative frapposto dal Ministero dell'Ambiente e della Sicurezza Energetica. «Le divisioni responsabili dei progetti energetici sono state trasferite al Ministero dell'Ambiente, ma sono rimaste scatole vuote perché prive di funzionari e personale in grado di decidere. Per avviare nuove trivellazioni bisognava rispettare alcune regole che impongono alle aziende beneficiarie forniture di gas a prezzi calmierati. Una richiesta praticamente inaccettabile in un momento in cui permangono molte incognite sui futuri prezzi di gas e petrolio.
Per questo finché perdurerà questa situazione calmierare il prezzo dell'energia sarà impossibile. E per evitare al consumatore nuovi salassi in bolletta il governo non avrà altra scelta che mettere mano ad un nuovo piano energetico».
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