È un j'accuse in piena regola rivolto ai predecessori, quello scagliato dal neo premier francese: «L'Italia è un grande Paese che la Francia ha spesso trascurato...», ha detto ieri Michel Barnier, annunciando (non senza sorpresa della moderatrice dell'incontro che si stava svolgendo a Parigi) che «la mia prima visita di Stato sarà in Italia». E non a Berlino come da tradizione. Lo ripete due volte, Barnier. Lo sottolinea, assumendosi l'impegno a cambiare impostazione a un rapporto bilaterale che negli anni è stato sì di collaborazione istituzionale con Roma, ma spesso segnato pure da attacchi strumentali e da un certo snobismo dell'Eliseo nel coinvolgimento del Bel Paese nelle politiche continentali.
Non è un segreto che il motore franco-tedesco sia ingolfato da tempo. Ma finora le tensioni tra Roma e Parigi, frutto di incomprensioni o dichiarazioni critiche, tese ad affrontare le difficoltà interne di un Macron assediato alle urne dall'ascesa lepenista e infine costretto ad affidare il governo a un neogollista fortemente conservatore come il 73enne Barnier, avevano di fatto impedito di creare una reale convergenza politica; nonostante il Trattato del Quirinale firmato il 26 novembre 2021, il rapporto di «amicizia» è stato finora garantito dal dialogo Quirinale-Eliseo, tra Mattarella e Macron, con i rispettivi esecutivi a far quasi da spettatori e spesso ai ferri corti. Ecco allora l'iniziativa del neo premier neogollista, un «corteggiamento» per cambiare paradigma: cooperazione politica e intesa personale tra capi di governo, dopo 7 anni in cui a Parigi c'è stato più un collaboratore del presidente della Repubblica come premier, che non un governante autonomo nelle scelte. Svolta, per assicurarsi che Giorgia Meloni partecipi a una sorta di ménage à trois. Politico, europeista: con Palazzo Chigi interlocutore privilegiato rispetto a Berlino, dove incombono elezioni.
Ci sarebbe già la data, per la visita alla «collega»: il 5 dicembre a Roma. Occasione per chiudere l'era degli alti e bassi e dare un segnale di sterzata ai vicini: alla Spagna a guida socialista che Barnier visiterà, ma «quando avrò tempo...», e a quella Germania bizzosa e lontana dalla visione franco-italiana, comune invece su vari dossier, dalla guerra ai vincoli del Patto Ue di Stabilità e Crescita alle modifiche all'accordo Mercosur di libero scambio con Brasile, Argentina, Uruguay e Paraguay; dossier su cui perfino Macron al G20 ha elogiato la premier. La scelta di Barnier è un sigillo, lanciato peraltro al forum economico Medef, Confindustria, Bdi, le sigle di industriali e pmi di Francia, Italia e Germania. «La cooperazione franco-tedesca è sempre più necessaria ma sempre meno sufficiente, quindi dobbiamo essere aperti e inclusivi», ha spiegato.
Carta italiana da giocare subito. Inizializzata con la visita lampo a Ventimiglia del 18 ottobre in cui Barnier lodò l'impegno della polizia italiana («I rapporti danno frutti concreti», disse riferendosi alla nuova strategia di contrasto all'immigrazione illegale). Primo segnale di attenzione alle politiche migratorie messe in campo dal governo Meloni, esternalizzazione inclusa. Ora fa vibrare il diapason per regolare l'intonazione delle voci di un esecutivo sostenuto pure da quei macroniani che negli anni hanno insultato l'Italia. Dall'ex premier Attal che da portavoce definì Roma «vomitevole» sui migranti all'ex ministro dell'Interno Darmanin che diede al Paese dell'incapace: «Meloni è come Le Pen, prima si fa eleggere e poi non risolve». Sono solo due cavallerizzi, oggi.
In un governo Barnier che vede ogni giorno di più rinnegare le loro ricette in favore della virata a destra, dall'immigrazione all'economia fino alla cultura; cadere le pregiudiziali ideologiche legate al racconto di certa stampa progressista. E fare un sonoro mea culpa per la «negligenza» dei predecessori.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.