Il prossimo 20 e 21 settembre, oltre che per elezioni Regionali e amministrative, si voterà anche per il referendum confermativo sulla riforma del taglio dei parlamentari.
Per la precisione gli italiani saranno chiamati a decidere se approvare o respingere la legge di revisione costituzionale dal titolo "Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari”. I parlamentari passerebbero da 945 a 600 membri totali. In particolare, i deputati scenderebbero da 630 a 400, mentre i senatori passerebbero da 315 a 200. Il quesito referendario si sarebbe dovuto tenere il 29 marzo scorso, ma la pandemia di coronavirus ha imposto il rinvio e, dopo il pronunciamento della Corte Costituzionale, è stato ufficializzato che il voto si sarebbe tenuto contestualmente alle elezioni Regionali e Amministrative. Il referendum costituzionale è di tipo confermativo e, a differenza di quello abrogativo, non richiede il raggiungimento di un quorum di partecipazione. Finora si è votato per quattro riforme costituzionali e, solo una, quella del Titolo V del 2001, è passata. Nel 2006 la riforma sulla devolution di Roberto Calderoli venne bocciata dagli italiani così come la Renzi-Boschi del 2016.
L’8 ottobre 2019, la Camera ha approvato in via definitiva il taglio del 36,5% dei parlamentari con oltre il 97% dei voti favorevoli, ma le posizioni in campo dei vari partiti sono molto articolate. Salvo rare eccezioni, il Movimento Cinque Stelle è compatto nel difendere la “sua” riforma e il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, si sta spendendo in prima persona in questa campagna elettorale. Matteo Renzi ha lasciato libertà di voto ai suoi elettori, ma ha lasciato intendere d’essere contrario alla riforma. “Non è una svolta, è uno spot: taglia i parlamentari, ma lascia intatti i problemi del bicameralismo perfetto. Le istituzioni, così, non funzionano. I leader non guardano sul medio periodo”, ha detto l’ex premier. Nel fronte del centrosinistra i Verdi, i radicali di +Europa di Emma Bonino e Azione di Carlo Calenda sono, invece, schierati dalla parte del comitato del No. LeU è divisa al suo interno con Pier Luigi Bersani che ha dichiarato che voterà sì, mentre Nicola Fratoianni ha espresso la sua contrarietà al taglio dei parlamentari.
Ancora più forti sono le divisioni all’interno del Pd. I democratici hanno votato la contro la riforma per ben tre volte, salvo poi promettere il proprio voto favorevole pur di far nascere il governo giallorosso. L’accordo stipulato col M5S prevedeva anche l’approvazione di una nuova legge elettorale di tipo proporzionale la cui discussione inizierà solo dopo il 20 e 21 settembre. Nonostante questo, il segretario del partito Nicola Zingaretti ha annunciato che voterà Sì, mentre la minoranza orfiniana e un esponente di spicco come il senatore Tommaso Nannicini sostengono il fronte del No al taglio dei parlamentari. La direzione nazionale del Pd ha approvato la mozione del segretario in appoggio al Sì, ma Zingaretti ha contestualmente promesso: "È un sì per fare altre riforme, ma non cederò all'antipolitica".
Anche gli ex presidenti del Consiglio Enrico Letta e Romano Prodi sono su fronti opposti.“Voterò Sì convintamente. Normalmente il dibattito spinge a votare in un modo o nell’altro a seconda delle conseguenze politiche. Io invece non ho mai guardato a questa parte della questione, a me interessa la sostanza non chi l’ha proposta o se cade il governo”, ha dichiarato il primo durante un dibattito alla Festa dell’Unità di Modena. “Il dimagrimento del Parlamento può essere solo la conclusione di un necessario processo di riesame del funzionamento delle nostre istituzioni. Il vero problema non sta infatti nel numero, ma nel modo in cui i parlamentari vengono eletti. Anche senza elaborare profonde analisi teoriche, l’elettore si è reso progressivamente conto che deputati e senatori non sono stati eletti, ma sostanzialmente nominati dai partiti e, come tali, coerentemente si comportano”, ha spiegato dalle colonne del Messaggero il fondatore dell’Ulivo. Anche Mattia Santori, leader delle Sardine, sull’HuffPost, è stato molto chiaro: “Il taglio dei parlamentari, travestito di riformismo nel nome dell’efficienza e del risparmio, è in realtà l’apice dell’antipolitica e rappresenta un grave rischio per la rappresentanza dei cittadini e il funzionamento dello Stato”.
Il centrodestra, invece, pare più propenso verso il sì. Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia, è in prima fila per l’approvazione della riforma, anche se Guido Crosetto ha espresso la sua contrarietà. "Il parlamento è la vera garanzia di libertà di un popolo anche contro i poteri forti. Risparmio? La perdita di una qualsiasi ASL in un anno", ha dichiarato il co-fondatore del partito.
Matteo Salvini rivendica il fatto di aver sempre sostenuto e votato la riforma, contrariamente a quanto ha fatto il Pd. Silvio Berlusconi, invece, ha deciso di lasciare libertà di voto e molti parlamentari di peso come Renato Brunetta, Simone Baldelli e Lucio Malan si sono schierati per il no alla riforma.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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