Ecco come il taglio dei parlamentari danneggia il M5S

Il referendum leghista sulla legge elettorale non è passato, ma gli italiani, forse già in primavera, torneranno alle urne per esprimersi sulla riforma del taglio dei parlamentari. Un taglio voluto dal M5S e che rischia di danneggiarlo

Ecco come il taglio dei parlamentari danneggia il M5S

Il referendum leghista sulla legge elettorale non è passato, ma gli italiani, probabilmente già in primavera, torneranno alle urne per esprimersi sulla riforma del taglio dei parlamentari. Un taglio voluto fortemente dal M5S e che rischia di danneggiare in primis proprio i pentastellati.

Gli unici partiti a crescere, secondo una simulazione pubblicata tempo fa sul Sole24 ore ed effettuata da Swg sulla base dei risultati delle Europee e degli ultimi sondaggi, sarebbero la Lega e Fratelli d’Italia. Bisogna anzitutto premettere che, nel caso in cui il taglio dei parlamentari diventasse una realtà, di sicuro sarà necessario ridisegnare i confini dei singoli collegi e molto probabilmente verrà cambiata la legge elettorale. Il presidente della commissione cultura alla Camera, Giuseppe Brescia, ha presentato il cosidetto 'Germanellum' che prevede un proporzionale puro con uno sbarramento al 5%. Una proposta che, sebbene abbia messo d'accordo Pd e M5S, deve essere ancora discussa e votata e, anche qualora entrasse in vigore, il centrodestra, ad oggi, risulta in vantaggio. Premesso questo, dalla simulazione di Swg (svolta solo per la Camera dei Deputati) emerge che il centrodestra vincerebbe a mani basse sia se il Pd e il M5S decidessero di correre divisi sia se volessero allearsi.

La simulazione dell'Istituto Swg

Nel primo caso il centrodestra otterrebbe 267 seggi, a fronte degli attuali 264 e “passerebbe dall’attuale 42% al 67% dei seggi ottenendo la maggioranza”, spiega il direttore scientifico di Swg Enzo Risso. Nella seconda ipotesi si fermerebbe a 223 deputati, ma avrebbe in ogni caso la maggioranza dei seggi alla Camera, perlomeno per quanto concerne la quota proporzionale. Esclusi, dunque, i collegi uninominali che sono una partita a sé, la Lega avrebbe 93 senatori, Fdi 25, Fi 17 e Cambiamo! di Toti nessun seggio. Volendo considerare anche i seggi uninominali, il Carroccio potrebbe arrivare a 124 deputati, mentre FdI arriverebbe a 35. Senza “il taglio”, la futura maggioranza di centrodestra potrebbe vantare tra i 423 e i 352 seggi.

Con il taglio dei parlamentari, invece, si metterebbe molto male per il centrosinistra che, senza l’alleanza col M5S, scenderebbe da 132 seggi a 77. Dai collegi uninominali arriverebbero a mala pena 4 seggi in più, ma in caso di alleanza con i pentastellati tale cifra salirebbe a 52. Nel proporzionale la situazione sarebbe la seguente: il Pd calerebbe da 89 deputati a 50, Italia Viva da 28 a 15 e LeU da 12 a 8. Senza il taglio dei parlamentari le tre forze di centrosinistra manterrebbero quasi invariati i loro rapporti di forza. Il Movimento Cinque stelle, come già anticipato, sarebbe il partito che uscirebbe maggiormente con le ossa rotte, passando dagli odierni 216 deputati a 46 (-79%) e di questi soltanto 4 sarebbero eletti con l’uninominale. Se il M5S corresse insieme al centrosinistra otterrebbe 52 seggi.

I grillini che potrebbero non essere rieletti

Un’emorragia di consensi che potrebbe escludere dal Parlamento personalità eccellenti, in primo luogo i grillini. A meno che Luigi Di Maio non introduca la regola del ‘mandato zero’ per i consiglieri comunali e municipali, inventata in estate per consentire alla Raggi e alla Appendino di ricandidarsi, tutti i grillini che hanno alle spalle già due legislature dovrebbero dire addio per sempre alla propria poltrona. Una norma che in molti vorrebbero abrogare, ma Di Maio, ha sempre espresso la sua contrarietà al terzo mandato. Prendendo per vere queste parole, allora, il primo a dover lasciare Montecitorio dovrebbe essere proprio l’attuale capo politico del M5S e subito dopo di lui il presidente della Camera Roberto Fico. A seguire: il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, il ministro dei Rapporti col Parlamento Federico D'Inca, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Riccardo Fraccaro, il viceministro per l'Economia Laura Castelli, i sottosegretari Manlio Di Stefano (Esteri) e Carlo Sibilia (Interni), Vittorio Ferraresi (Giustizia), Angelo Tofalo (Difesa), Alessio Villarosa (Mef). E ancora: il tesoriere Sergio Battelli, il capogruppo uscente Francesco D’Uva, l’ex ministro della Salute Giulia Grillo e i presidenti di commissione Carla Ruocco (Finanze) e Giulia Sarti (Giustizia). La lista è ancora lunga, ma, dato che crediamo assai poco all’intenzione di Di Maio di mantenere in vigore una norma che gli impedirebbe di ricandidarsi, evitiamo di proseguire questa interminabile lista di grillini alla seconda legislatura.

M5S e renziani a rischio

Dopo questa doverosa precisazione, ci sono degli ulteriori elementi di carattere politico da prendere in considerazione. Nel 2018 l’Italia era spaccata a metà: al Nord il centrodestra a trazione leghista, al centro-Sud una distesa infinita di giallo. Ora, dopo che le Europee di fine maggio hanno segnato il dimezzamento dei voti del M5S, anche alla luce del ‘caso Ilva’ e del fallimento dei ‘No Tap, è presumibile che quantomeno in Puglia i grillini possano andare incontro a una sonora sconfitta. È doveroso ritenere che, per motivi analoghi, anche i militanti No Tav tolgano il loro sostegno al M5S così come nella Capitale ci sarebbe da meravigliarsi se, dopo i danni compiuti dalla Raggi, i romani andassero in massa a votare per i pentastellati. Il prossimo Parlamento, poi, sarà sicuramente meno renziano. Molti ex fedelissimi di Renzi, infatti, pur essendo rimasti nel Pd, potrebbero non essere ricandidati e coloro che hanno scelto di aderire a Italia Viva non hanno certo la sicurezza di essere rieletti con un partito che oscilla tra il 3 e il 6%.

Ritorno alle urne e referendum costituzionale, ecco il timing

Ma prima di parlare di esclusi eccellenti e di percentuali, bisogna capire se, come e quando si tornerà a votare. Tutto dipende, ovviamente, dalle fibrillazioni nella maggioranza che, appare sempre più instabile e, nel caso di una caduta del governo, il Colle ha già chiarito che la via maestra sono le elezioni.

I parlamentari che vogliono mantenere intatto l’attuale status quo hanno raccolto le firme per indire il referendum abrogativo. Questa raccolta firme ha avuto un percorso travagliato, sebbene fossero necessarie le sottoscrizioni di 1/5 dei membri di una delle due Camere. I promotori, quindi, hanno puntato sull'Aula meno numerosa, il Senato dove era necessario ottenere 64 firme, ma a pochi giorni dalla scadenza del termine ultimo per presentare il quesito, qualcosa è andato storto. Sette senatori (quattro forzisti, due dem e il grillino dissidente Michele Giarrusso), si sono sfilati mettendo a rischio l'iniziativa guidata da Andrea Cangini, Nazario Pagano (FI) e Tommaso Nannicini (Pd). In loro soccorso sono arrivati le firme di un senatore di LeU, 5 forzisti e soprattutto l'appoggio determinante di sei leghisti, per un totale di 71 firme. Matteo Salvini ha spiegato di aver così voluto dare "un contributo per avvicinare la data delle elezioni, perchè prima va a casa questo Governo di incapaci e meglio è, non per Salvini ma per l'Italia".

Lo scopo dell'ex ministro dell'Interno era anche quello di favorire una maggiore partecipazione alle urne, nel caso in cui la Consulta avesse ammesso il referendum leghista sulla legge elettorale per il quale, probabilmente, si sarebbe votato in concomitanza con il referendum confermativo sul taglio dei parlamentari. Così non è stato ma, in ogni caso, quest'ultimo quesito referendario blocca l’entrata in vigore del taglio dei parlamentari che diventerebbe effettivo solo dopo il voto che potrebbe tenersi a maggio. Se il referendum confermasse la riforma voluta dei grillini, in caso di crisi, non si voterebbe prima dell'autunno e verrebbero così eletti soltanto 600 parlamentari. L'iniziativa di Salvini, invece, punta a far cadere il governo in tempi brevi perché, se lo scioglimento anticipato delle Camere avvenisse prima del referendum, si tornerebbe alle urne per eleggere 945 parlamentari, com'è avvenuto finora.

Il partito di maggioranza relativa, il M5S, infatti, è, come è stato già spiegato, quello che perderebbe più seggi. E, allora, sorge spontanea una domanda: siamo proprio sicuri che i parlamentari pentastellati fremono così tanto dalla voglia di non essere rieletti?

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