In attesa della guerra vera minacciata da Pechino, continua quella di parole tra le due sponde dello stretto di Taiwan. Ieri, nel giorno della festa nazionale della piccola Repubblica di Cina che tanto irrita Xi Jinping da volerla annettere a forza, la presidente Tsai Ing-wen ha risposto per le rime. E non solo al boss comunista che pretende di negare ai taiwanesi di decidere da soli del proprio destino, ma anche a tutti coloro e sono tanti, purtroppo, anche in Occidente che danno già per persa la causa della Cina nazionalista.
Se dalle nostre parti non fossimo abituati a tollerare le infamie del regime di Pechino in cambio dell'accesso al suo allettante mercato, il discorso di Tsai dovrebbe essere pubblicato a lettere d'oro sui nostri giornali. Esso rappresenta infatti la sintesi dei principii di libertà e indipendenza che, almeno a parole, sono anche i nostri. E spiega perché, in nome di quei principii, vale la pena di combattere contro chi pretende di negarceli con la forza.
Noi non ci piegheremo alle pressioni, ha detto la presidente di Taiwan, nessuno deve illudersi. E lo dimostreremo continuando a rafforzare la nostra difesa nazionale per impedire a chiunque di costringerci a seguire il percorso che la Cina comunista ha preparato per noi. Un percorso, ha sottolineato Tsai, che «non offre né uno stile di vita libero e democratico, né la sovranità a 23 milioni di persone. Rinnoviamo oggi il nostro impegno costante nel tempo a difendere un sistema costituzionale libero e democratico, ma anche la richiesta a Pechino di un dialogo su una base di parità».
Richiesta che il governo cinese ha nuovamente respinto ieri con toni sprezzanti nei confronti di un modello alternativo di Cina che il regime comunista intende schiacciare con gli stessi metodi usati a Hong Kong, e con aperte minacce alla leadership politica di Taipei etichettata come «la più grande minaccia alla pace e alla stabilità nello stretto di Taiwan». A Pechino si parla di pace ma, tutti lo hanno capito, si prepara una guerra di aggressione. E a Taipei si cerca di evitare uno scontro impari, ma ci si prepara a difendersi. Naturalmente, con l'aiuto indispensabile di alleati che sono in primo luogo gli americani, ma non solo.
Nel suo discorso, la presidente Tsai ha enfatizzato «i rapidi cambiamenti nello scenario internazionale», con ovvio riferimento alle alleanze a guida americana nell'Indo-Pacifico in funzione anticinese. E ha ricordato che oggi Taiwan «è sulla prima linea di difesa di un mondo democratico sempre più in allarme per l'espansione dell'autoritarismo».
Oggi, ha concluso, non godiamo solo del concreto sostegno degli Stati Uniti, ma abbiamo relazioni fiorenti e interessi comuni con il Giappone e con la Corea del Sud. Se dunque Pechino spera di prenderci per isolamento, sarà disillusa. Speriamo che non sia lei a illudersi: non sempre gli occidentali mantengono le loro promesse.
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