Il problema non sono solo le parole di Travaglio su Draghi («è un figlio di papà», «non capisce un caz...»), ma è il fatto che siano state pronunciate alla festa di un partito della maggioranza di governo, che il pubblico (compresa la moderatrice, Chiara Geloni, ex portavoce di Bersani) le abbia calorosamente applaudite accompagnandole da risate, e che il leader di quel partito, che è anche ministro della Salute del governo Draghi, ci abbia messo un giorno intero per dissociarsi.
Solo dopo che il caso era scoppiato Roberto Speranza ha capito che forse era il caso di dire qualcosa e, intercettato dai giornalisti nei pressi della Camera, ha proferito verbo: «L'uscita di Marco Travaglio è infelice e non rappresenta certo il punto di vista di Articolo Uno, che sostiene convintamente la sua azione di governo». Il minimo sindacale. Nessuna replica dal premier, ma è risaputo che Draghi è rimasto orfano del padre a 15 anni (e della madre poco dopo) ed è stato costretto molto presto a prendersi la responsabilità dei suoi fratelli, per i quali cucinava tornato a casa dall'università.
Con questa siamo a due sconfessioni in poche ore per Travaglio visto che per un titolo sul Fatto in cui attribuiva a Conte la volontà di far cadere Draghi («O si cambia o leviamo la fiducia») è stato smentito proprio dall'avvocato di Volturara Appula («Conte non ha rilasciato interviste, nè dichiarazioni, nè virgolettati»), con cui pure è in confidenza. Ma è con le frasi su Draghi (ma nello stessa serata ha anche detto che la Cartabia, ex presidente della Corte costituzionale, «non distingue un tribunale da un phon o da un tostapane») che Travaglio ha scatenato l'indignazione generale, o quasi poiché il M5s non ha commentato le parole del suo giornalista di riferimento. Il direttore del Fatto però non si muove di un millimetro. Le polemiche? «Non me ne frega niente. Come diceva Arthur Bloch, non discutere mai con un idiota: la gente potrebbe non notare la differenza...».
Tra gli «idioti» che commentano la sua uscita alla festa di Articolo Uno (il partitino di Speranza e D'Alema), oltre ai social, ci sono in tanti, dal Pd alla Lega passando per Iv. «A vergognarsi deve essere il solito Travaglio, che, tanto per cambiare, ha usato parole indegne» scrive il senatore Pd Andrea Marcucci. Domanda invece Matteo Salvini: «La domanda sorge spontanea: ma allora Speranza, e i grillini amici di Travaglio, che cosa ci stanno a fare al governo?». Il governatore leghista Attilio Fontana chiede e dimissioni di Speranza, «che senso ha stare al governo se i suoi applaudono convinti agli insulti del direttore del Fatto?». Anche il capogruppo renziano Davide Faraone chiede conto a Speranza, «le scuse di Travaglio non arriveranno mai, forse dovrebbero arrivare proprio da chi siede accanto al presidente del Consiglio», cioè appunto il ministro della Salute.
Secondo Matteo Renzi l'episodio è «il segno che l'asse tra populismo e sinistra radicale si salda su un linguaggio di insulti e di offese, che adesso si abbatte su Mario Draghi». Da Forza Italia intervengono Antonio Tajani («A volte il silenzio è d'oro. Anche Marco Travaglio avrebbe fatto bene a non parlare») e Licia Ronzulli («Non è possibile chiedere onestà intellettuale a chi conduce da tempo una battaglia per riportare l'impreparazione e l'inadeguatezza a Palazzo Chigi»).
Il coordinatore di Articolo Uno, Arturo Scotto, prova a uscirne sostenendo che Travaglio, come qualsiasi ospite della festa di partito, è libero di dire quel che vuole, «non diciamo a nessuno cosa dire e non dire», nemmeno di applaudire gli insulti.
Il critico d'arte grillino Tomaso Montanari, amico del Fatto, difende invece la definizione di «figlio di papà» per Draghi, perché da ragazzo ha frequentato un liceo di gesuiti a Roma e ha avuto come compagni Montezemolo e Abete, e questo ne farebbe quindi un figlio di papà anche se orfano. Un post che scatena altrettante reazioni indignate.
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