"Troppe firme", ma il blitz di Rizzo fallisce

Palazzo Chigi era pronta a ridurne il numero, l'ira dei cespugli ha fatto saltare ogni intesa

"Troppe firme", ma il blitz di Rizzo fallisce
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Bruxelles val bene qualche firma in meno, anzi no. Tra i cespugli della galassia di centrosinistra è scoppiata la guerra, alla faccia del pacifismo di facciata. Tutta colpa della legge elettorale per le Europee, che prevede un minimo di 1.500 firme a Regione e almeno 15mila firme per ognuna delle cinque circoscrizioni elettorali. Totale, 75mila firme per poter depositare la lista entro le 20 di oggi. Tutte vere, non digitali, da certificare manualmente. «Un meccanismo assurdo» anche per Michele Santoro e la sua Pace Terra Dignità, che ieri è riuscito al fotofinish a raccogliere tutte le firme necessarie. Inutile dire che per superare la soglia di sbarramento del 4% serve un milioncino di voti, se il problema è raccogliere 75mila firme allora è inutile presentarsi, ma tant'è.

Il più battagliero leader del fronte taglia firme è quel simpatico rompiscatole di Marco Rizzo, leader del Partito comunista e coordinatore del movimento Democrazia sovrana e popolare, che ieri alle 15 era davanti Palazzo Chigi (dopo una serie di interlocuzioni con il sottosegretario Giovanbattista Fazzolari) perché avrebbe voluto chiedere alla premier Giorgia Meloni una deroga per ridurre almeno del 50% quest'obbligo a 37.500 firme, adducendo che alcuni Comuni come Roma avrebbero fatto un po' di ostruzionismo per complicare la raccolta. Palazzo Chigi aveva manifestato la sua disponibilità («valutiamo senza preclusioni, richiesta ragionevole») con l'obiettivo non dichiarato di estendere l'esenzione firme a tutti i partiti minori, «con spirito collaborativo per favorire la partecipazione al voto», come sarebbe piaciuto al Quirinale, a patto che questa decisione non ingenerasse polemiche. Ma gli altri cespugli che faticosamente hanno raggiunto l'obiettivo si sono messi di traverso, definendo la richiesta di Rizzo «un capriccio politico» e adducendo come scusa il fatto che un'eventuale norma ad listam per Rizzo sarebbe stato un vulnus democratico (aridaje) sostanzialmente perché Dsp avrebbe sottratto voti a loro ma anche a Pd e M5s, ergo la solidarietà della Meloni era «interessata». «Sarebbe una lupara governativa», spara Cateno De Luca, che con l'ex grillina Laura Castelli ha partorito il movimento Sud chiama Nord, annegato con altri 19 simboli tra no-vax e autonomisti nel listone Libertà, nemico giurato di Rizzo dopo i ripetuti flirt mai sbocciati. «Faccio appello a Sergio Mattarella, in qualità di garante della democrazia», aveva aggiunto il sindaco di Messina, prima che un malore lo costringesse a un ricovero. E così l'esecutivo ha tirato il freno a mano: «A fronte della ferma contrarietà di altre formazioni minori e per di più con accuse di voler varare un provvedimento per qualche astruso secondo fine, l'esecutivo ha valutato opportuno non accogliere la richiesta», recita la nota. La battaglia di Rizzo circola da giorni sulle chat e sui social, l'aiutino sarebbe arrivato sul gong e questo avrebbe comunque creato delle distorsioni.

Ma è anche vero però che alcuni micro partiti sono orwellianamente «più uguali» degli altri: c'è chi non ha dovuto raccogliere le firme in nome di un cavillo legato a una sentenza della Cassazione del 2014 che accolse il ricorso dei Verdi, come Alleanza popolare, che dice di essere esentata grazie all'adesione al Ppe, con tanto di simbolo e lettera di autorizzazione.

In serata Rizzo, a poche migliaia di firme dal traguardo, mastica amaro: «Abbiamo superato il limite nelle circoscrizioni Centro e Sud e nelle altre tre faremo ricorso. Evidentemente diamo noia».

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