Nel 2019 per nominare Ursula von der Leyen alla Commissione ci vollero tre giorni di trattative serrate, con tanto di maratona notturna per appianare le divergenze tra i capi di Stato e di governo. Nel 2014, tra le elezioni europee e la scelta di Jean-Claude Juncker da parte del partito popolare passò più di un mese; e sul traguardo il lussemburghese dovette superare una ultima, durissima opposizione degli inglesi di David Cameron, che lo consideravano troppo federalista.
Questa volta è tutto diverso. A farla da padrone è, a quanto pare, il senso di urgenza. Con tutto quello che sta succedendo in Europa, non è proprio il caso di perdere tempo, dicono funzionari e diplomatici ai cronisti. Il riferimento in chiaro è naturalmente alla guerra in Ucraina; quello implicito è a un paradosso che circola tra i palazzi di Bruxelles: le vere elezioni europee, quelle in grado di far tremare le istituzioni Ue, non ci sono ancora state. E non sono nemmeno elezioni europee, ma di due parlamenti nazionali. Si svolgeranno tra il 30 giugno (primo turno del voto in Francia) e il 29 settembre, data delle elezioni in Austria.
Anche per questo i vertici della Ue hanno deciso di puntare a tagliar corto, per avere una squadra pronta di fronte a ogni eventualità.
Il voto europeo dell'8 e 9 giugno, quello ufficiale, è servito a dare una sterzata a destra all'intero quadro politico continentale. Ma gli effetti delle tornate elettorali che ancora mancano potrebbero assestare un immediato e potente scrollone al funzionamento delle istituzioni europee così come le conosciamo.
Nel recente voto austriaco il partito di destra che fu di Jörg Haider, la Fpö, con un guadagno di quasi 9 punti percentuali si è classificato al primo posto, superando i popolari della Övp che di punti ne hanno persi addirittura 10. Se questo risultato sarà confermato i Freiheitlichen potrebbero andare al governo da leader di una coalizione. Il risultato sarebbe che nel Consiglio Europeo, «l'uomo nero» Orbán che con i suoi veti rende da anni accidentata la navigazione di Bruxelles, diventerebbe il minore dei problemi. Il ruolo di Gianburrasca potrebbe essere assunto dal nuovo capo di governo dell'Austria, che ha un peso specifico indubbiamente maggiore di quello degli ungheresi e che è meno dipendente dai sussidi di Bruxelles.
I contraccolpi su Bruxelles sarebbero molto forti anche nel caso di un successo, allo stato molto probabile, di Marine Le Pen alle elezioni politiche francesi (il ballottaggio è in calendario il 7 luglio) che aprirebbe la via alla cosiddetta «coabitazione». In questo caso il meccanismo delle ricadute sulla Ue sarebbe leggermente diverso dal precedente. Visto che al presidente Emmanuel Macron spettano le competenze di politica estera, nel Consiglio Europeo sarebbe lui, esattamente come ora, a rappresentare Parigi. I guai inizierebbero a livello di Consiglio dei singoli ministri.
Questi ultimi sarebbero parte
del governo di Marine Le Pen (o meglio, di Jordan Bardella). Come finirebbero per coordinarsi i due livelli non si sa. E le precedenti «coabitazioni», nate in contesti istituzionali diversi, non rappresentano un precedente.
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