Usa-Cina, sfida nel Pacifico e vendetta dei chip

Patto anti-Pechino di Biden con la Papua Nuova Guinea. Xi blocca la tecnologia Usa

Usa-Cina, sfida nel Pacifico e vendetta dei chip
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L'asse Cina-Russia si rafforza mentre il livello dello scontro fra Pechino e l'Occidente si alza, nonostante il «disgelo», previsto «molto a breve», dal presidente degli Stati Uniti Joe Biden al G7 di Hiroshina. Sono gli esiti del summit in Giappone, che sembra aver peggiorato il clima tra il Dragone e i suoi rivali ideologici, i Paesi del «mondo libero», per usare un termine da Guerra Fredda. Nelle ultime ore, Pechino ha preso di mira quasi tutte le cancellerie occidentali, da Tokyo a Londra, passando per Washington. Parole pesanti e fatti concreti, le prime ai danni di tutti gli interlocutori occidentali, i fatti soprattutto a detrimento del colosso rivale, gli Stati Uniti, che intanto annunciano un nuovo patto anti-cinese.

Washington ha siglato ieri un accordo di cooperazione in ambito difensivo con la Papua Nuova Guinea, per marcare l'impegno nell'Indo-Pacifico, una delle aree più a rischio di confronto bellico tra i due giganti. Il segretario di Stato Usa, Antony Blinken, ha spiegato che «il futuro del nostro pianeta si sta scrivendo qui», dove Washington vuole contrastare in tutti i modi l'influenza di Pechino. Appena 24 ore prima, con una mossa commerciale e geopolitica, la Cina aveva annunciato il divieto di acquisto dei prodotti della compagnia americana Micron Technology. «Possono costituire un rischio per la sicurezza nazionale del Paese»: una giustificazione che ricorda la crociata americana contro l'app cinese TikTok, messa al bando dai dispositivi governativi statunitensi e per la prima volta anche da uno Stato Usa, il Montana, che qualche giorno fa ne ha stabilito il bando totale. Si tratta di un segnale forte dopo l'annuncio cinese di un viaggio negli Usa, previsto in settimana, del ministro del Commercio, Wang Wentao, e di colloqui con la segretaria al Commercio Usa, Gina Raimondo, e con la rappresentante per il Commercio, Katherine Tai.

Fatti accompagnati a dichiarazioni feroci contro l'Occidente. Il viceministro degli Esteri cinese Sun Weidong ha convocato l'ambasciatore giapponese Hideo Tarumi in segno di protesta per «la campagna contro la Cina» al G7, che ha espresso serie preoccupazioni per la situazione nei mari Cinese orientale e meridionale, per il futuro di Taiwan e i diritti umani in Cina. «Diffamazione», è l'accusa di Pechino. Indirizzata non solo al Giappone, colpevole - a detta della Cina - di aver interferito nei suoi affari interni, non solo al Regno Unito, che ha definito la Cina «la più grande minaccia alla sicurezza e alla prosperità», ma a tutto il G7, che si «aggrappa al confronto e al pensiero della Guerra Fredda» e «ostacola la pace internazionale». Ciliegina sulla torta: l'affondo agli Stati Uniti. «Dicono di voler parlare con la parte cinese mentre cercano di soffocare la Cina con tutti i mezzi possibili», denuncia Pechino, ricordando «le sanzioni contro funzionari, istituzioni e aziende cinesi». La richiesta è di revocarle «immediatamente» e di fare passi concreti «per il dialogo e la comunicazione». D'altra parte Biden ha lasciato intendere che potrebbe allentare le sanzioni contro il nuovo ministro della Difesa cinese, Li Shangfu, aprendo a un incontro a inizio giugno, a Singapore, con il segretario alla Difesa Usa, Austin.

Strategia della tensione, dunque, per strappare concessioni? I segnali indicano un clima pesante con l'Occidente e nuove convergenze con Mosca, che denuncia «l'isteria anti-russa e anti-cinese» del G7.

Il segretario del Consiglio di sicurezza russo, Nikolai Patrushev, e Chen Wenqing, membro dell'Ufficio politico del Comitato centrale del Pcc, si sono incontrati a Mosca per discutere gli sforzi congiunti su intelligence e sicurezza.

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