Vendetta in Yemen, ucciso l'ex leader Saleh

Colpito mentre tentava di fuggire. I ribelli houti, alleati fino a ieri, rivendicano l'omicidio

Gian Micalessin

Non fosse una spietata carneficina sarebbe una saga da tregenda. Una saga, quella dello Yemen, in cui vendetta, morte e rivolgimenti scandiscono sempre nuovi capitoli. L'icona di quello scritto solo ieri è quella del cadavere dell'ex-presidente Alì Abdullah Saleh, con la testa fracassata da un proiettile, trascinato in una coperta lorda di sangue da alcuni miliziani houti al grido di «Vendetta per Sayydi Husseini». Un grido che ci riporta al 2004. Allora Sayydi Husseini alias Hussein Al-Houthis, precursore della ribellione houti, guida la prima rivolta armata delle tribù sciite del nord contro il regime di un presidente Saleh al potere dal 1978. Allora vince Saleh e nel settembre 2004 Hussein Al Houtis viene massacrato assieme a 20 collaboratori. Ma quello è solo l'inizio di una guerra spietata tra le tribù sciite - dietro cui si muove l'Iran e un mondo sunnita guidato dall'Arabia Saudita. Una guerra in cui Abdulla Saleh, abituato fin dai tempi della Guerra Fredda a schierarsi ora con gli americani ora con i russi, esibisce tutte le sue doti di camaleonte innamorato del potere. Deposto nel 2011 sull'onda delle Primavere Arabe non esita a utilizzare gli ex nemici per tornare a guidare il Paese. Così quando nel settembre 2014 le milizie houti entrano a Saana e cacciano il presidente protetto da Riad, Saleh s'allea con i miliziani di cui ha fatto trucidare il leader. Ma dietro le giravolte di quel voltagabbana si consuma la tragedia condotta per procura dai due grandi rivali in lotta per la supremazia sull'islam e sul Medio Oriente. «Dio è grande! Morte all'America! Morte ad Israele! Maledizione sugli Ebrei! Vittoria per l'Islam».

Gli slogan stampati sulle bandiere houti fanno il paio con quelli del khomeinismo e dei pasdaran iraniani. Dietro il governo del presidente in carica Abdrabbuh Mansur Hadi arroccato ad Aden c'è invece una coalizione militare a guida saudita che comprende Bahrain, Qatar, Kuwait, Emirati Arabi Egitto, Giordania, Marocco e Sudan. Eppure nonostante tre anni di bombardamenti condotti in gran parte da Arabia Saudita ed Emirati Arabi con il coordinamento degli Stati Uniti, di Obama prima e di Trump oggi, l'avanzata delle milizie houti non si ferma. E mentre i bilanci dell'Onu registrano oltre diecimila morti - tra cui 5200 civili vittime in gran parte di incursioni aeree indiscriminate - la guerra si fa sempre più spietata. L'ultimo atto è di pochi giorni fa quando Saleh annuncia in un'ultima piroetta l'addio all'alleanza con gli houti e la firma di una pace separata con i sauditi. Da allora la capitale Saana è un campo di battaglia in cui si contano almeno 150 caduti.

Ma l'uccisione di Saleh, intercettato mentre cercava di raggiungere la città natale di Sanhan assieme a pochi fedelissimi, non ne segna certo l'epilogo. Sconfitti sul terreno i sauditi continuano a martellare la capitale caduta in mani houti. E la carneficina non potrà che peggiorare.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica