Cose che non si possono fare con un iPhone: mandare un messaggio sicuro via iMessage a un amico che ha Android; pagare con un servizio che non sia Apple Pay; abbonarsi a servizi gaming invece di comprare le app ad una ad una su Apple Store. Per esempio. Domanda: aprire questo scrigno di dati potrebbe essere un pericolo? E soprattutto: perché questo attacco a Cupertino arriva dagli Stati Uniti? «L'approccio di Apple è quello di un ecosistema proprio e sostanzialmente chiuso - afferma Alessandro Curioni, fondatore di Di.Gi. Academy ed esperto di cyber sicurezza -: questo crea difficoltà alle aziende che sviluppano app e in generale software. È per la difesa della pivacy? Mi sembra una posizione capziosa».
Per quale motivo?
«Più un sistema è aperto, tanto più può essere verificato e analizzato da un numero maggiore di soggetti anche esterni all'organizzazione. Questo aiuta a individuare precocemente eventuali vulnerabilità ed errori di sviluppo. E poi: quando un oggetto qualsiasi è connesso alla rete è in qualche modo aperto».
Quali sono i pericoli per chi ha un iPhone?
«Non sono diversi da quelli a cui si trova esposto qualsiasi altro smartphone: nel 2023 sono state individuate almeno venti falle che Apple ha corretto».
In più gli iPhone sono prodotti in Cina.
«E questo è un pericolo per la stessa Apple, visto che la proprietà intellettuale laggiù non ha tutele particolarmente forti. Se poi immaginiamo un grande complotto tecnologico di Pechino, che è la fabbrica del mondo, allora siamo tutti a rischio e non soltanto per i telefoni della Mela».
Perché allora questo attacco contro Apple?
«Onestamente non vedo un disegno contro l'azienda. Mi sembra un allineamento di posizioni tra Ue e Stati Uniti in un momento in cui, complice la situazione geopolitica, devono mantenere posizioni compatte. Tutto sommato è l'Occidente che deve dimostrare qualcosa».
In questo caso?
«Colpire Apple significa fare favori a tantissimi, come la coreana Samsung o la stessa Google. Che attraverso il sistema operativo Android è installata su otto smartphone su dieci».
È un favore a Big G?
«Se parliamo di dati e informazioni Google sta a Apple come un gigante sta a un nano: tra motore di ricerca, browser Chrome e posta Gmail, il Web è di fatto di Google. Se poi aggiungiamo Maps non credo che esista un solo possessore di smartphone, PC o tablet che non sia anche utente dell'azienda di Mountain View. Più volte ho detto che è la più autentica espressione di superpotenza del XXI secolo».
Troppo potente anche per i governi?
«Direi che la lotta è ormai impari: ci sono venti Big Tech che controllano tutte le tecnologie dell'informazione. Anni fa un collega mi raccontò la battuta che circolava in Usa: A volte ci domandiamo se sia la Casa Bianca che controlla Google oppure il contrario».
Forse la risposta la sta dando l'Antitrust Usa.
«Oggi gli stati lottano per la propria sovranità digitale nell'unico modo possibile: attraverso le leggi e interventi regolatori. In questo noi europei siamo maestri con il più articolato impianto normativo del mondo».
Tra GDPR e Digital Markets Act siamo tranquilli?
«Alle Big Tech sono state imposte regole che nessuna organizzazione nazionale ha il potere contrattuale di ottenere. Più che al sicuro, direi che si cerca di mantenere un certo controllo su dati e informazioni.
Tuttavia è un compromesso: la Ue ha messo sul piatto i suoi cittadini con i loro dati. Le grandi aziende non possono permettersi di perdere 400 milioni di consumatori mondiali alto spendenti, e di conseguenza si adeguano. Lo farà anche Apple».
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