La parola esatta è: spiazzati. I vertici della Cei forse non si aspettavano quelle parole del Papa sul volo di rientro dal Bahrein. Quel richiamo all'Europa: «L'Italia non può fare da sola» davanti al dramma dei profughi. Certo, Francesco ha ricordato che il Mediterraneo «è forse il cimitero più grande del mondo», ma poi con realismo ha interpretato la difficile posizione del governo italiano, stretto fra i doveri umanitari e la difesa dei nostri confini.
Così, ieri il vicepresidente della Cei, monsignor Francesco Savino, esprime in qualche modo il disagio di parte dell'episcopato con una frase mirata: «Non utilizziamo Papa Francesco come copertura di scelte politiche». E monsignor Giancarlo Perego, presidente della fondazione Migrantes, organismo della Cei, attacca esplicitamente l'esecutivo a proposito di quanto sta accadendo a Catania: «La situazione è drammatica, anticostituzionale, non rispetta le famiglie che sono su queste navi, non rispetta il diritto fondamentale al soccorso della Convenzione di Ginevra». Evidentemente, il discorso del pontefice viene filtrato attraverso la sensibilità dei vertici della Cei che difendono una linea tradizionale.
Nessuno è così sprovveduto da appiccicare, come pure si è fatto spesso in passato da una parte e dall'altra, etichette ai ragionamenti di Bergoglio. C'è però qualcosa di inatteso nelle risposta che Francesco ha dato ai giornalisti. La Cei e la sua leadership in particolare hanno sempre privilegiato alcuni tasti, ora Bergoglio sembra svolgere un ragionamento polifonico, più complesso, capace di tenere insieme diverse esigenze. È così anche quando a sorpresa dichiara: «La povertà non si combatte con l'assistenzialismo». Un concetto che i giornali traducono subito in un titolo facile: il Papa scomunica il reddito di cittadinanza.
La Cei registra con qualche affanno la predica in volo di Bergoglio. «Il 70% dei miei colleghi - spiega al Giornale un vescovo che vuole mantenere l'anonimato - ha un'impostazione di sinistra, ma la sinistra ha perso la connessione con il popolo e dunque anche i capi della Chiesa italiana vivono questa difficoltà culturale e pastorale. Bergoglio invece ha un'altra matrice: è un gesuita, attaccato in passato perché ritenuto di destra, e come tale ha frequentato il potere. È più pragmatico: in questo momento il popolo italiano ha scelto la destra, dopo anni di governi nati fuori dalle urne, e lui dà credito a questa soluzione, senza pregiudizi».
Può sembrare quello di Bergoglio un ritratto inedito, per chi lo ha frettolosamente catalogato come un pontefice progressista. Ma la realtà è più sfumata; Francesco ha un temperamento forte e dà molta importanza agli incontri e al fattore umano: ci sono in lui elementi cosiddetti di sinistra, se si adotta il solito metro manicheo, e altri più tradizionali. Un mix non incasellabile, antiideologico, che sfugge alle classificazioni: c' è in lui grande attenzione al tema incandescente della povertà - e il povero per il Cristiano è Cristo che bussa - ma poi ci sono le riflessioni che allineano la solidarietà e la capacità dello Stato di governare.
La Chiesa, maestra di realismo - basta pensare all'antiutopismo del peccato originale - sta con gli ultimi ma Bergoglio non dimentica le ragioni degli esecutivi, in particolare di quello che si è
appena insediato a Palazzo Chigi. E prova a pesarlo sul campo nella capacità di affrontare i problemi. Per la Chiesa italiana, in parte prigioniera di schemi datati, si apre una stagione nuova, fuori dai canoni del passato.
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