"Vi spiego perché la vittoria del centrodestra farebbe bene alla democrazia"

L'analista politico americano Andrew Spannaus, il solo nel 2016 ad aver previsto l'ascesa di Trump, a tutto campo sulle Politiche italiane: "Se vince il centrodestra? Nessuna apocalisse, il confronto democratico si rivitalizzerà"

"Vi spiego perché la vittoria del centrodestra farebbe bene alla democrazia"

Il suo prossimo libro potrebbe intitolarsi "Perché (stavolta) non vince Trump". Oggi, però, con il politologo americano Andrew Spannaus, fondatore della newsletter Transatlantico.info e unico addetto ai lavori ad aver previsto la vittoria del tycoon alle presidenziali 2016 (il suo "Perché vince Trump" è arrivato con i sondaggi non proprio rosei per l’outsider di Manhattan), parliamo soprattutto di elezioni italiane. Ovviamente, viste dagli States.

Se ne parla negli Usa?

"È un dibattito che appartiene ad una minoranza. L’americano medio sa ben poco della politica italiana e quello che sa è quello che gli raccontano i grandi giornali, che stanno affrontando la questione in modo superficiale: enfatizzando la preoccupazione che un partito post-fascista possa andare al governo, senza però domandarsi perché ciò stia accadendo".

L’amministrazione Biden ha assicurato che lavorerà con tutti, ma dai retroscena emerge una certa attenzione in caso di vittoria del centrodestra. È così?

"Senza dubbio l’amministrazione Biden preferirebbe vedere al governo forze politiche che ritiene più affidabili a livello internazionale. L’establishment americano non ha perso memoria delle convergenze con la Russia e delle critiche alla globalizzazione espresse da alcuni ministri del centrodestra. L’Italia però rimane un Paese amico, si continuerà a lavorare insieme".

Nel Partito repubblicano come è vissuto l’eventuale ingresso a palazzo Chigi dell’alleata Meloni?

"Il Gop è diviso: c’è una fazione più reaganiana, neoconservatrice e liberista ed una che potremmo definire “trumpiana”. La Meloni proviene dalla destra sociale, quindi è naturalmente più in linea con l’ala trumpiana, però c’è da dire che negli ultimi anni si è riposizionata, attirando simpatie anche dall’altra parte. Non credo che il mondo repubblicano la consideri una minaccia, anzi".

Nel nostro circuito mediatico c’è la sindrome da apocalisse in caso di vittoria del centrodestra.

"Credo molto nella democrazia e questo pericolo non lo vedo, anche laddove un eventuale governo di centrodestra mettesse in discussione le regole europee e le sanzioni alla Russia. È l’occasione per aprire un dibattito sui temi forti, che sono stati i grandi assenti di questa campagna elettorale. Si possono avere posizioni diverse dal “credo” della Commissione europea e da ciò che è scritto nei trattati internazionali. C’è spazio per tutti. È il sale della democrazia".

Il mainstream però si difende, ci sono analogie con le reazioni scomposte alla candidatura di Trump?

"Sicuramente l’atteggiamento di superficialità di cui le parlavo prima, anche se con Trump le reazioni sono state più violente. C’è in comune un modo di fare spocchioso che si lega ad una mancanza di comprensione delle ragioni profonde del voto. Le faccio un esempio: limitarsi a dire che chi vota la Meloni vota una fascista, o che chi vota Salvini vota il ministro del Papeete, significa non cogliere l’essenza delle cose. Si dimentica il passato: la cacciata di Berlusconi da parte di Draghi e Napolitano, il governo Monti e le politiche di austerity e tagli che hanno avuto pesanti ripercussioni su famiglie ed imprese, innescando una spirale di malcontento e sfiducia che arriva fino ad oggi".

L’eventuale vittoria del centrodestra come potrebbe impattare sulle elezioni di midterm?

"Una vittoria del centrodestra con Meloni premier sarebbe una tentazione per i democratici, che in questa fase si stanno concentrando sulla denuncia all’estremismo e sul “pericolo Trump”. Certo, il tempo è poco e per Biden sarebbe problematico fare dichiarazioni del genere, ma qualcuno nel suo partito potrebbe ricorrere a questa narrazione".

Nel dibattito elettorale è piombato il dossier degli 007 Usa sui finanziamenti russi ai partiti stranieri. In Italia è stato letto come il tentativo di influenzare il voto.

"È piuttosto il tentativo di influenzare in chiave antirussa la politica in generale. Quella di rivelare notizie di intelligence è una tecnica che gli Usa utilizzano da un anno a questa parte per punzecchiare Mosca e condizionare il dibattito pubblico. Se poi mi chiede qualcosa di più in merito a questi finanziamenti, le dico subito che è ridicolo pensare che siano solo i russi a pilotare la politica. Noi americani, ad esempio, spendiamo miliardi per promuovere chi è più vicino alle nostre posizioni, solo che i nostri finanziamenti sono in larga parte pubblici".

Venendo al conflitto in Ucraina, come lo vivono gli americani? C’è un clima da nuova guerra fredda?

"Si è parlato moltissimo della guerra in Ucraina. È servito a rafforzare la narrazione di una Russia illiberale e il livello dello scontro con le autocrazie, compresa quella cinese. Senz’altro la guerra influenza ancora molto i dibattiti di politica estera, ma non è la principale preoccupazione degli americani, che sono più focalizzati su questioni di carattere economico e sulle battaglie sociali e culturali".

Come legge le ultime mosse del Cremlino?

"La controffensiva ucraina ha rappresentato uno smacco per la Russia che adesso risponde con la mobilitazione di nuove truppe. Putin non può permettersi di perdere la guerra, quindi è inevitabile che le ultime dal fronte segnino un cambio di fase. È probabile che la cosiddetta “operazione militare speciale” diventi una guerra piena, coinvolgendo molto di più le infrastrutture civili".

È realistica la minaccia nucleare?

"Trovo preoccupante domandarsi se Putin stia bluffando o meno. Il solo discutere di questa eventualità dovrebbe mettere paura a tutti. Non credo che oggi i russi pensino veramente all’opzione nucleare, però bisogna stare attenti. È questione di percezioni. Se Mosca percepisce lo scontro con l’Occidente come una minaccia esistenziale, vero o meno che sia, allora il ricorso al nucleare entra in discussione".

Ci lasci con uno dei suoi proverbiali pronostici: Donald Trump ce la farà a tornare alla Casa Bianca?

"No. È alle prese con guai giudiziari che possono servire a mobilitare la sua base, ma non ad attirare gli indecisi e gli indipendenti, ed è sul voto di questi ultimi che si giocheranno le prossime elezioni.

Le modalità con cui si è conclusa la sua presidenza ed i fatti dello scorso 6 gennaio sono scogli insormontabili. Piaccia o meno, stavolta le istituzioni del Paese farebbero davvero di tutto per scongiurare la sua rielezione".

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