Dunque sarebbero i soldi ad aver spinto un uomo di sessantadue anni a uccidere la sorella, e poi ad accanirsi sul corpo della sua vittima. Questo, almeno, risulta dalle prime informazioni. Scoprire la qualità delle relazioni tra i due sarà fondamentale, e non solo per stabilire la capacità di chi ha ucciso di comprendere la portata delle sue azioni, ma per far luce sulla genesi e la dinamica dell'aggressione.
Detto questo, appare evidente come a colpire l'opinione pubblica siano le attività post mortem, le mutilazioni, il depezzamento del cadavere. Smembrare un corpo può essere fatto risalire a due esigenze, una riconducile alla sfera psicologica dell'assassino, l'altra a criteri, per così dire, utilitaristici.
La prima è un'attività tipica nei serial killer, soprattutto di quelli disorganizzati. Aprire, tagliare, rimuovere, sono azioni guidate da una vena sadico-sessuale, gesti voluti per soddisfare un proprio perverso piacere. Talvolta capita che il sadismo non sia evidente nella vita, e soprattutto nelle fantasie di chi uccide e mutila, ma sia il concomitante uso di sostanze, soprattutto cocaina, o magari alcol, a farlo emergere prepotentemente.
Assai più diffuso è lo smembramento a scopo «utilitaristico», vale a dire che le azioni sono compiute al fine di sbarazzarsi più semplicemente di un corpo. Chi se ne rende responsabile non è mosso che dall'esigenza di eliminare una prova nel modo più economico possibile.
Certo esiste una terza possibilità, che è quella in cui depezzare corrisponde a un rituale, e allora ritrovare tronco e arti e testa della vittima rappresenta un segnale forte a chi ha deviato dai codici di un gruppo criminale. Un avvertimento di cosa potrà capitare a tutti quelli che vorranno infrangere le regole. Ma non sembra certo questo il caso. Tocca ovviamente agli inquirenti, insieme agli esperti che i magistrati vorranno incaricare, capire a quale categoria l'uomo appartenga.
Qualora la vicenda, come probabile, rientri nella seconda categoria, quella del delitto e successivamente del tentativo di disfarsi più facilmente di un corpo smembrato, la domanda di tutti è come sia possibile arrivare a tanto.
L'esperienza di fatti criminali insegna che il passo più arduo è quello di togliere la vita, non quello di accanirsi. Una volta ucciso, non è facile, ma nemmeno eccezionale trasformare la vittima in oggetto, e come tale trattarlo.
Ma non è possibile escludere che la mano
che ha impugnato l'accetta e chissà cos'altro, sia stata mossa dalla rabbia, da un rancore accumulato negli anni, frutto di una storia relazionale che sarà necessario conoscere, prima di formulare un giudizio definitivo.
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