Una app che dovrebbe proteggerci, ma che per ora divide. Parliamo di «Immuni», il software per smartphone creato da una partnership tra Bending spoons, Jakala, GeoUniq e Centro medico Santagostino, e il legale esperto in privacy Giuseppe Vaciago. Una app che secondo il governo dovrà essere uno strumento chiave per affrontare i rischi di ritorno del contagio da Covid-19 nella cosiddetta Fase 2.
In pratica, grazie alla connessione bluetooth, il cellulare di ciascuno permetterà di tenere traccia delle interazioni con altre persone (che abbiano ovviamente in tasca smartphone con «Immuni» installata) con cui si è entrati in contatto, o alle quali ci si è avvicinati, salvando anche i dati gps degli «incroci». Parallelamente, sull'app si dovranno indicare le proprie condizioni di salute, dati che dovrebbero essere anonimi che permetteranno, così, di capire con chi e dove - un eventuale soggetto positivo al Coronavirus è entrato in contatto nei giorni precedenti, provando così a individuare tempestivamente, e se possibile a contenere un focolaio di contagio.
Si sa che i dati verranno raccolti anonimamente, ma non è ancora chiaro dove saranno conservati: se sui singoli smartphone degli utenti dell'app, o se invece su un server centralizzato, così come non è ancora definito chi dovrà analizzare e utilizzare quei dati. Quali soggetti, insomma, saranno autorizzati a prenderne visione.
Ma i problemi non finiscono qui, e non sono solamente relativi a un tema comunque delicatissimo come la privacy. Il governo sembra intenzionato, infatti, a limitare gli spostamenti dei cittadini che non avranno la app sul proprio cellulare, e questo vanifica in buona parte la sbandierata «volontarietà» dell'installazione del software. Creando diseguaglianze tra chi ha scelto di avere la app sul telefonino e che potrebbe dunque spostarsi senza limitazioni e gli altri.
Una scelta che non è nemmeno tale per tutti coloro e sono tantissimi, gli anziani in particolare che non possiedono un cellulare o che ne hanno uno obsoleto, non in grado dunque di far girare «Immuni». Una fetta considerevole della popolazione, peraltro ad alto rischio, che resterebbe fuori dallo strumento di tracciamento dei movimenti e di monitoraggio di ogni possibile contagio.
I dubbi, insomma, sono tanti. E innescano una richiesta trasversale di un passaggio in Aula prima di procedere con il via libera a «Immuni», che arriva da Fi, dal Pd, dal Carroccio e da Fdi. Per gli azzurri lo chiede la senatrice Fiammetta Modena, secondo la quale «l'utilizzo dell'app non può cadere sulle nostre teste per circolari e decreti una semplice ordinanza» firmata dal commissario Arcuri, ma serve «un confronto serio in Parlamento». «Assolutamente impensabile» un via libera all'app senza un passaggio parlamentare anche per la leader di Fdi Giorgia Meloni, mentre il costituzionalista e deputato Pd Stefano Ceccanti insiste: «Serve una legge», perché «vanno bilanciati i diritti». Posizione condivisa dal collega di partito Filippo Sensi, che invita a non creare cittadini «di serie A e di serie B».
Sì alle
nuove tecnologie per contrastare il virus, «ma con tutte le garanzie dovute ai cittadini italiani», si unisce al coro Matteo Salvini, che avverte: «La strada scelta dal governo è pericolosa. La nostra libertà non è in vendita».
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