Yoon spalle al muro: verso le dimissioni

Se non lascerà volontariamente sarà il Parlamento a cacciarlo. Ancora caos in piazza

Yoon spalle al muro: verso le dimissioni
00:00 00:00

L'origine del problema è personale, quindi la sua soluzione dovrà essere personale: il presidente sudcoreano Yoon, che ha gettato nel caos il suo Paese proclamando la legge marziale con motivazioni incoerenti e forzate, dovrà lasciare la carica. Sono questi, in estrema sintesi, gli sviluppi della incredibile vicenda cominciata martedì sera dopo le 22 a Seul quando il presidente Yoon si è rivolto ai suoi compatrioti dagli schermi televisivi annunciando, senza il minimo preavviso, che le libertà politiche erano sospese «per salvare la democrazia». Yoon ha lasciato tutti (a partire dai membri del suo stesso partito politico, ma anche gli stretti alleati americani che hanno nel Paese venti basi militari e quasi trentamila uomini) esterrefatti quando ha spiegato che il gravissimo passo era necessario per impedire a infiltrati della Corea del Nord di bloccare il libero funzionamento delle istituzioni nazionali. La sua mossa ha spinto, come è noto, i parlamentari a riunirsi in circostanze avventurose con la polizia che presidiava il Parlamento su ordine del ministro della Difesa (che ieri si è dimesso) e cercava di impedir loro l'accesso e votare contro la legge marziale appena proclamata dal presidente.

Yoon ha poi dovuto, nel giro di poche ore, fare marcia indietro: era rimasto completamente isolato e le stesse pressioni americane gli hanno fatto capire di non avere appoggi. Ma se questo sembra aver avviato la risoluzione dei problemi per il suo Paese, che ha vissuto col cuore in gola l'inaudito incubo di un colpo di Stato, non ha risolto i suoi. Sei partiti politici, incluso il suo, hanno firmato l'avvio della procedura di messa in stato di accusa contro Yoon, che è ora con le spalle al muro: se non si dimetterà spontaneamente, verrà costretto a farlo dalla volontà unanime del Parlamento, al voto già domani. Il tutto mentre le tensioni di piazza, com'è comprensibile, faticano a placarsi e la polizia ha dovuto disperdere con la forza una manifestazione ostile davanti al palazzo presidenziale.

Le accuse contro il presidente sudcoreano, che rischia un processo davanti alla Corte Costituzionale, sono pesanti. Non solo ha abusato del suo ruolo cercando di sospendere le libertà democratiche in tutto il Paese con motivazioni che non trovano riscontro, ma che appaiono una grottesca forzatura dettata dalla crescente frustrazione di non poter attuare la sua agenda politica. Ma addirittura sempre secondo le accuse avrebbe così agito per scansare un'inchiesta penale per corruzione: una storia piuttosto imbarazzante e patetica di una borsa di lusso finita indebitamente nelle mani di sua moglie.

Sia come sia, la carriera politica di Yoon, un outsider della politica che per ironia della storia era stato un severissimo procuratore generale con fama di moralizzatore e patriota integerrimo, è finita. Bruciata da fiamme che il presidente ha appiccato con le sue stesse improvvide mani. Sigillano il suo destino, sia pure con parole misurate, gli alleati della Casa Bianca.

Il segretario di Stato Antony Blinken ha accolto con soddisfazione la marcia indietro sulla legge marziale annunciata da Yoon, mentre viene confermato che da Seul nessuno aveva avvisato il presidente Biden delle intenzioni del collega sudcoreano. È chiaro che per Washington un alleato così, per quanto vicinissimo al Commander in Chief, è diventato impresentabile e che non verrà fatto nulla per salvarlo.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica