Del terrore e dei suoi usi propagandistici Vladimir Putin è un esperto, come dimostrano gli attentati da oltre 300 morti alle città russe dell'estate del 1999: attribuiti a mai meglio identificati gruppi ceceni e daghestani si rivelarono essenziali per la presa del potere dell'ex numero uno del Fsb. Chi, come l'ex agente del Kgb Aleksander Litvinienko, ha sostenuto che l'inquilino del Cremlino ne sapesse qualche cosa ha fatto una brutta fine, senza per altro portare prove inconfutabili alla propria tesi.
Anche per questo azzardare interpretazioni troppo nette sull'attentato di San Pietroburgo è un azzardo. Di sicuro, se fosse vera la tesi del governo russo, che parla di una saldatura tra servizi di sicurezza ucraini e il movimento di Aleksey Navalny, avrebbe ragione la politologa Tatiana Stanovaya: la conseguenza sarebbe quella di creare una sostanziale identità tra l'opposizione alla guerra e il terrorismo filo-ucraino e anti-patriottico. Una mossa in linea con la direzione di marcia impressa dal Cremlino all'intero Paese, trasformato in una società di guerra, e ormai avviato ad un conflitto di durata potenzialmente illimitata. In uno scenario del genere l'altra e più minacciosa (per Putin) faccia della medaglia sarebbe la convergenza tra nemici interni ed esterni con conseguenze che sono per il momento difficilmente prevedibili.
La seconda ipotesi sul tappeto parla invece di uno scontro intestino tra le varie bande più o meno criminali che si contendono la leadership dell'apparato bellico russo. II destinatario dell'avvertimento sarebbe il capo della Wagner, Evgenij Prigozhin. Non si tratterebbe di una novità: dal 2014 a oggi, sono state numerose le uccisioni ai vertici delle milizie che nel Donbass combattono sul fronte putiniano e non tutti gli omicidi, forse nemmeno la maggioranza, sono stati opera degli ucraini.
Una guerra tra bande che si aggrava fino a toccare il cuore del potere (San Pietroburgo è, da questo punto di vista, una città simbolo) diventa più significativa nel momento in cui aumentano i gruppi vittima della guerra.
Fino a rendere plausibile l'ipotesi ventilata su un giornale inglese da James Olson, ex capo del controspionaggio della Cia, che ha detto di considerare Putin un «dead man walking», un condannato a morte. «Se rimarrà al potere la guerra durerà a lungo», ha detto. «Ma non credo succederà. Tra i militari, nei servizi di sicurezza, tra gli oligarchi aumentano gli oppositori. Non escludo che lo facciano fuori».
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