Per lo Zar è il Papa l'unico mediatore possibile. E il Vaticano tiene aperto il dialogo con Mosca

Contatti costanti per la situazione umanitaria, ma Francesco ha mani libere

Per lo Zar è il Papa l'unico mediatore possibile. E il Vaticano tiene aperto il dialogo con Mosca

Un canale riservatissimo tra la diplomazia della Santa Sede e quella della Federazione Russa, con la speranza che possa iniziare a intravedersi seriamente qualche spiraglio di pace nella guerra in Ucraina. Se gli appelli incessanti del Papa, perché si faccia ogni sforzo possibile per fermare le bombe, sembrano apparentemente cadere nel vuoto, in realtà sono solo la parte visibile di un lungo lavoro di tessitura che va avanti da oltre tre mesi e che vede come protagonista il Segretario di Stato Vaticano, il cardinale Pietro Parolin.

I colloqui, diretti e indiretti, tra il porporato e il ministro degli esteri russo Lavrov, nonostante qualche rallentamento nel corso dei mesi, non hanno mai subito interruzioni, e così uno stretto collaboratore del braccio destro di Putin, Alexey Paramonov, direttore del Primo dipartimento europeo del ministero degli Esteri russo, parlando con l'agenzia Ria Novosti ha tenuto a precisare che «manteniamo un dialogo aperto e riservato con la Santa Sede su una serie di questioni, principalmente legate alla situazione umanitaria in Ucraina». Un segnale eloquente, una prima vera apertura pubblica da parte della Russia nei confronti del Vaticano che in più occasioni si era proposto a Mosca come mediatore per la pace, chiedendo anche, su input di Papa Francesco, una visita lampo del Pontefice in Russia, magari in una saletta aeroportuale, per parlare direttamente a quattr'occhi con Putin e convincerlo a fermare gli attacchi. Discorso ancora aperto, questo, anche perché entrambe le diplomazie, quella vaticana e quella russa, sono consapevoli che Bergoglio non rimane e non rimarrà, comunque, di certo in silenzio: se intende condannare con forza la guerra o se intende tirare le orecchie pubblicamente al leader del Cremlino, lo fa e lo farà, a prescindere dall'azione diplomatica in corso.

Non a caso, parlando, lo scorso marzo, in videochiamata con il patriarca ortodosso russo Kirill, Francesco lo aveva invitato a usare esclusivamente la lingua di Gesù e non quella della politica, perché i leader religiosi, disse, non possono fare altrimenti. Francesco parla una lingua diversa da quella della diplomazia, la quale viaggia su un binario diverso rispetto a quello di Santa Marta: è partita semplicemente dal cuore e non da strategie politiche o diplomatiche la scelta di Francesco, il 25 febbraio, a guerra appena iniziata, di presentarsi all'Ambasciata Russa presso la Santa Sede per manifestare all'ambasciatore Alexander Avdeev tutta la sua preoccupazione per l'attacco in Ucraina. E parte sempre dal cuore il desiderio di volare a Mosca per incontrare Putin, il leader che, nonostante le bacchettate pubbliche e potenti di Francesco, vede nel Papa, uno dei pochi, se non l'unico, interlocutore credibile per poter aprire un tavolo di trattativa.

E poi c'è la questione umanitaria: il collaboratore di Lavrov accenna anche a questo quando parla di «canale aperto» con la Santa Sede: proprio per questo Francesco ha voluto informazioni di prima mano sulla situazione in Ucraina inviando negli scorsi mesi due cardinali sul posto e autorizzando infine la missione a Kiev, a maggio, di monsignor Paul Richard Gallagher, il «ministro degli esteri» del Vaticano.

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