Lo Zar snobba Bruxelles e stringe accordi con Xi. Nelle fauci del Dragone

La rottura con l'Ue costringe Mosca a nuove strategie. Ma a vincere alla fine è solo la Cina

Lo Zar snobba Bruxelles e stringe accordi con Xi. Nelle fauci del Dragone

Il rischio è quello di una reciproca sconfitta anche se in tempi diversi. Nel breve periodo si gioca tutto una Russia che rischia di vedersi ridimensionata al ruolo di mero fornitore d'energia e materie prime al gigante cinese. Nel lungo periodo, però, rischiano grosso anche l'America e l'Occidente minacciate dall'impareggiabile crescita di un Dragone pronto ad attingere alle infinite risorse di Mosca a prezzi scontati. Il «dietrofront compagni» lanciato da Vladimir Putin dal forum economico di Vladivostok non è, insomma, un bel segnale per nessuno. Non per Zar Vladimir costretto ad archiviare quei piani sull'Eurasia che rappresentavano il suo sogno. In base a quei piani Mosca doveva recuperare il pieno controllo di molti territori ex sovietici riportando sotto la propria ala geopolitica e strategica la Bielorussia e l'Ucraina, il Kazakistan e l'Armenia. Ma quel sogno contemplava una piena sinergia con l'Europa basata sullo scambio di energia e materie prime russe con tecnologie e manufatti del Vecchio Continente.

Almeno per ora quel piano è fallito. Sulla questione Ucraina Stati Uniti e Nato sono riusciti a imporre la propria linea all'Unione Europea e Putin non può che trarne le conseguenze alludendo, come ha fatto ieri dal palco del forum economico di Vladivostok, a «cambiamenti tettonici nell'intero sistema delle relazioni internazionali». Certo all'orizzonte si profila la costruzione di Power of Siberia 2, un gasdotto di 2.600 chilometri destinato ad attraversare la Mongolia e dirottare nelle fauci del Dragone 50 miliardi di metri cubi di gas all'anno. Gas che andrà ad aggiungersi agli oltre 16 miliardi di metri cubi già garantiti a Pechino nel 2021. Ma non sarà un dirottamento immediatamente conseguente al taglio delle forniture europee. Il progetto conclusivo del tracciato è previsto solo per il 2024 mentre per l'entrata in esercizio bisognerà attendere il 2030. Del resto guardare alla Cina e rinunciare all'Europa non è certo una vittoria. Storicamente Mosca non ha mai inseguito il «grande Oriente», ma un'Europa di cui ha continuato a considerarsi la Terza Roma. Lo provano i profili delle grandi città russe, da Mosca a Pietroburgo, disegnate da architetti italiani e francesi ed una cultura che ha sempre occhieggiato a Parigi e Roma.

Del resto la marcia a Oriente non funzionò neppure ai tempi del comunismo. Nel 1969 nonostante la comune ideologia l'Unione Sovietica e la Cina di Mao combatterono una serie di battaglie sulle rive dell'Amur che per poco non sfociarono in un conflitto a tutto campo. Da allora i rapporti tra le due potenze post-comuniste sono rimasti improntati più all'interesse che non alla reciproca fiducia. Ma un Cremlino costretto a fare i conti sia con le sanzioni, sia con un sistema industriale tecnologicamente e produttivamente arretrato deve ora guardare al futuro. Quello a brevissimo termine prevede l'incontro di Putin con l'omologo cinese Xi Jinping a margine del vertice della Shanghai Cooperation Organization (Sco) a Samarcanda (Uzbekistan) della prossima settimana. Un incontro in cui Putin si ripromette risultati più concreti di quelli conseguiti durante la visita a Pechino in occasione dell'apertura dei giochi invernali. Nonostante sorrisi, strette di mano e manovre militari congiunte di questi giorni la Cina di Xi si è ben guardata, fin qui, dall'appoggiare esplicitamente l'«Operazione Speciale» in Ucraina e dal garantire sostegno militare a Mosca. Un atteggiamento decisamente asimmetrico rispetto all'atteggiamento di Mosca sulla questione di Taiwan.

L'asimmetria va però letta tenendo conto degli orizzonti politici di Xi deciso a mantenere un basso profilo fino al Congresso del Partito Comunista del prossimo mese. Un Congresso cruciale per garantirsi un terzo mandato consecutivo alla testa di Partito e Paese.

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