Il verbale non c'è, ma c'è qualcuno che prende appunti. E ora il resoconto di quell'incontro, pubblicato da Domani, mette in imbarazzo l'ex premier Giuseppe Conte. Si scopre che il 2 marzo dell'anno scorso l'allora presidente del Consiglio partecipa a una drammatica riunione ristretta del Comitato tecnico scientifico in cui si parla della difficilissima situazione in provincia di Bergamo e in Val Seriana.
A quel meeting è presente il ministro della Salute Roberto Speranza e ci sono, fra gli altri, l'ex coordinatore del Cts Agostino Miozzo e il direttore dell'Istituto superiore di sanità Silvio Brusaferro. Sono ore concitate, a pochi chilometri da Bergamo la situazione sta scappando di mano; ora, se è corretta la ricostruzione di quel meeting, sappiamo che in quell'occasione gli esperti spiegano al premier la gravità della situazione e di fatto gli suggeriscono di chiudere tutto. Insomma, gli suggeriscono la zona rossa. Unica risposta adeguata a quel disastro. Il punto è che di questa riunione non si è mai saputo nulla fino a oggi. Conte ha sempre sostenuto un'altra versione: solo il 5 marzo scopre che il Cts vuole istituire la zona rossa fra Alzano Lombardo e Nembro. E questo sulla base di un'altra riunione degli esperti che in effetti si tiene la sera del 3 marzo 2020.
Le ore, in quei momenti così bui, fanno la differenza. E si resta sconcertati all'idea che un verbale cosi importante come quello del 3 marzo sia stato inviato al premier solo 48 ore dopo. Un ritardo inaccettabile e dalle conseguenze catastrofiche, quando sarebbe bastato alzare il telefono, chiamare Palazzo Chigi e chiedere al capo del governo un intervento urgente per provare a fermare l'epidemia.
Ora però questa versione viene messa in crisi, anzi se gli appunti raccolti dal misterioso interlocutore sono veritieri, Conte viene smentito. E le lancette del governo devono tornare al 2 marzo, ben sei giorni prima della decisione che Conte prende infine l'8 marzo, blindando con il colore arancione non solo la val Seriana ma l'intera Lombardia.
Possibile pensare che l'allora capo del governo non ricordi, se c'è stata, una discussione così cruciale?
Sei giorni purtroppo vogliono dire, in quel momento, centinaia di morti. Bergamo e la provincia sono sull'orlo del precipizio e il 18 marzo quella tragedia fa il giro del mondo con i camion dell'esercito che portano via le bare dei troppi morti. Un quadro agghiacciante che matura fra indecisioni e balbettii. Sappiamo che il presidente della Lombardia Attilio Fontana non chiede a sua volta la zona rossa per i comuni flagellati dal contagio, ma fra il 2 e il 3 marzo manda a Roma i dati in suo possesso, peraltro eloquenti: i casi a Bergamo sono già 366, il 24 per cento dell'intera regione. Sempre il 3 marzo l'allora assessore alla sanità Giulio Gallera scrive alla Protezione civile, implorando l'invio di squadre di medici per fronteggiare la devastante emergenza.
Riunioni e mail si susseguono affannosamente, ma i giorni scorrono senza che nessuno schiacci il bottone della zona rossa. Da mesi la Procura di Bergamo indaga sull'accaduto per valutare eventuali responsabilità penali.
Ora quel verbale costringe a riscrivere la sequenza della storia e a verificare le affermazioni dell'ex premier. Il 2 marzo, dunque, il Cts sottolinea i «numeri preoccupanti» di Alzano e Nembro, proponendo di trasformarli in zona rossa. Ma, a quanto sembra, Conte frena: replica che la catena di trasmissione non può essere ricostruita e aggiunge che la zona rossa «deve essere usata con parsimonia. Perché ha un costo sociale, politico, non solo economico, molto alto». Il premier non se la sente di fare il passo decisivo e, in conclusione, «decide di rifletterci».
Una scelta sciagurata perché fra il 2 e l'8 marzo si ammalano e muoiono centinaia di persone.
Ma al di là dell'epidemia, Conte deve chiarire questo vuoto di memoria. Nell'interrogatorio del 12 giugno e poi in un'intervista al Fatto Quotidiano sostiene un'altra verità: è solo il 5 marzo che gli arriva il pressante suggerimento di isolare la Val Seriana. Ma le date non tornano.
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