Polli e il mestiere di arrotino: «Ormai diamo fastidio»

Polli e il mestiere di arrotino: «Ormai diamo fastidio»

«Faccio l’arrotino da cinquant’anni. Ho cominciato che ne avevo dieci: uscivo da scuola e con la mia bicicletta giravo per le macellerie a ritirare i coltelli». Ezio Polli oggi di anni ne ha 66, il nonno Giuseppe aveva cominciato il mestiere nel 1890. «Siamo di Pinzolo, a due passi da Madonna di Campiglio. Allora non era un posto turistico quello, ma povero e agricolo. Gli uomini si erano inventati un mestiere, dalla Val Rendena scendevano in pianura padana con la “slaifera”, il carretto a pedali dotato di una grossa ruota per affilare le lame. La valle è diventata famosa grazie agli arrotini e la mia famiglia, nonno, papà e zio arrotino, si è divisa fra Chicago, New York e Milano».
Nella città del Duomo la postazione è cambiata solo di pochi metri, prima alla Crocetta, dai primi del secolo è diventato «L’arrotino coltellinaio di porta Romana» al civico 94 di corso di Porta Romana, in uno stabile del Settecento. E i Polli, Ezio, il nipote Andrea e la figlia Cristina, sono gli ultimi rappresentanti di un mestiere antico. «In città saremmo rimasti in cinque ma di lavoro ce n’è, eccome. Abbiamo commissioni anche da altre regioni». I Polli ritirano i coltelli da ristoranti, supermercati, macellerie, li affilano e li restituiscono. Non solo, perfezionano gli accessori da manicure, toilette, tosatura per animali e gli strumenti di pelletteria e sartoria. «Le lanzette ad esempio, sono lame sottilissime adatte a tagliare la pelle di serpente, è importante che lo strumento sia preciso, si rischierebbe di rovinare il pellame pregiato, di non far quadrare le squame».
Ezio Polli scarta un pacchetto di 39 lanzette, un’ora di lavoro per sistemarne le lame, prima sulla mola, poi su tre tipi di spazzole, una trattata con pasta abrasiva, per eliminare i residui. E poi ci mostra il risultato, l’acciaio così trattato diventa un rasoio manuale, delicato e preciso. Capiamo perché dalle 8 alle 20 l’arrotino non avrebbe voluto riceverci, «lavoro 10 ore e mezzo tutti i giorni, sabato compreso. Fino a qualche anno fa ne facevo anche quindici di ore, adesso ho rallentato un po’, ma la domenica inforco la bicicletta e mi rilasso per le strade di campagna».
Orgoglioso di essere artigiano «siamo noi che teniamo in piedi l’Italia», senza aver chiesto mai aiuto a nessuno: «I fondi del Comune? Mi ci vede scaricare il modulo da internet? Non è questo il modo di aiutare... Lo sa che paghiamo l’Inps come se fossimo artificieri, ma quale mestiere non ha rischi?». È costretto però a trasferirsi: «Fra due mesi andremo in via Bergamo 12, il proprietario ci ha raddoppiato l’affitto, non possiamo permetterci di pagare 20mila euro l’anno. E il Comune? Non fa niente. Eppure il sindaco lo sa, siamo suoi fornitori. Il guaio è che manca la sensibilità per accettare gli artigiani. Chi compra casa in centro, non accetta il nostro motorino nel cortile ed è disturbato dal rumore della mola...».
Un buon coltellaio deve essere anche arrotino, ci spiega Polli. «Mi accorgo se la lama è buona quando la metto sulla mola. Purtroppo anche i grandi marchi di coltelleria stanno aprendo fabbriche in Cina e si vede subito che l’acciaio è diverso».
C’è il rischio che il mestiere scompaia, rimpiazzato dalla grande industria? «Le macchine ci sono ma i coltelli non sono tutti uguali, non si può pensare a una molatura in massa.

C’è la lama per il salmone che va sfinata, quella per tagliare la costata che va arrotondata e così via». E l’artigiano è la mente che guida: conosce il tipo di coltello, sa come usarlo, capisce le esigenze dei clienti.

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