La kaiseki è la massima espressione della cucina giapponese. Un complesso rituale che fa di un pasto non solo un nutrimento del corpo ma anche un nutrimento dell’anima. Sue caratteristiche fondamentali sono l’armonia che contraddistingue la presentazione di ogni singolo piatto e l’intero percorso, la stagionalità delle materie prime e il simbolismo dei vari passaggi, che trasformano il pasto in una vera cerimonia.
Sono in pochi in Italia ad affrontare questo aspetto della cucina nipponica pur tanto amata nel nostro Oaese, e questo a causa della difficoltà a essere credibili nell’esecuzione. Un rischio che certo non corre Claudio Liu, imprenditore a cui fa capo il più blasonato gruppo di ristorazione giapponese di Milano, IYO. Qualche tempo fa Liu ha deciso di trasformare una delle sue due insegne stellate milanesi, Aalto (l’altra è IYO Experience in via Piero della Francesca) in un ristorante kaiseki nel tentativo di dare un’espressione compiuta di questa forma di arte gastronomica in Italia. È nato così IYO Kaiseki, “un sogno che coltivavo da anni – dice Liu - e che finalmente oggi diventa realtà. La cucina kaiseki è la massima espressione dell’alta cucina giapponese, una forma d’arte in cui il bilanciamento fra gusto, texture e estetica dei piatti raggiunge livelli di pura perfezione, ogni degustazione diventa una vera e propria cerimonia che rievoca un’eleganza imperiale, che andremo ad interpretare in modo rigoroso”.
Ho provato con grande piacere questa esperienza che si è rivelata sublime. Ho iniziato con uno Shira-ae con all’interno una pasta di sesamo bianco e tofu, mescolati con carote fresche e cachi, e con un Kuromogadon, tofu di sesamo nero, con dashi e alga nori julienne. Bianco e nero. Poi ecco l’Owan, uno dei passaggi fissi del kaiseki, una zuppa con brodo di pesce bianco che porta la firma distintiva dello chef: in questo caso un Hagi Shinjo, con una polpettina di pesce bianco, fagioli azuki e yamatoimo, patata bianca giapponese, tutto cotto al vapore, al di sopra daikon marinato, fiore di zucca, brodo dashi. Quindi il Mokouzuke, una magnifica selezione di sashimi, con ricciola, gambero rosso e l’akame, la parte più magra del tonno.
È il momento dell’hassun, una composizione di piccoli assaggi che serve a celebrare la ricchezza della stagione in corso: nel mio caso una pallina di riso per sushi con salmone, una bella scatolina di ceramica con all’interno pesce bianco kobugin, marinato con alga kombu e salsa di fegato di branzino, l’ebi, un gambero sbollentato nel brodo dashi, con caviale, una tartare di wagyu aromatizzato con kizami wasabi e salsa di soia all’interno di una cialda che si chiama monaka e infine un pomodorino ciliegino sbollentato e fiammato con il mirin. Poi lo yakimono, che prevede che una pregiata materia prima venga cotta al carbone: nel mio caso un Suzuki Uni Kimiyaki, un branzino laccato con salsa a base di tuorlo d’uovo, sopra l’amioga, un fiore che ricorda lo zenzero, e polpa di ricci di mare, il tutto con un contorno a base di branzino, daikon e carote marinate amazu.
Poi ecco l’Agemono, una tempura di aragosta con shiso croccante, e una salsa tendashi con soia, yuzu e sake dolce. Poi il Sunomono, king crab al vapore con cetrioli, alga wagame, gambero e uova di salmone. Dopo il Gohanmono, un riso dalla nota umami, accompagnato da zuppa di miso, è la volta dei dessert: un Millefoglie in Giappone realizzato con la yuba, quella parte che affiora quando il latte di soia bolle, che viene prelevata, essiccata e infornata con dello zucchero a velo che caramellizza, e disposta a strati con una crema montata di vaniglia, marmellata di fagioli azuki e un gel di sudachi, sorbetto di lampone. Infine del tè Hojicha realizzato da un’infusione e accompagnato da una piccola pasticceria.
A questo menu, che costa 180 euro, si affiancano una versione più corta e con una portata di sushi con nigiri e hosomaki (150 euro) e un menu dello chef con cinque portate del giorno secondo lo schema kobachi (piccolo antipasto), mikouzuke (selezione di sashimi), yakimono (piatto caldo del giorno), sushi e kashi (dessert del giorno, a 140 euro). Per chi non vuole percorsi prefissati c’è comunque una bella carta. Chi invece sceglie uno dei due menu kaiseki deve specificarlo al momento della prenotazione, data la complessità della preparazione.
IYO Kaiseki è un locale elegante e rarefatto, dove regna il silenzio dello spirito. Poco è cambiato a livello estetico rispetto ad Aalto, essendo questo genere di evoluzione già nella mente di Liu, a cambiare sono state soprattutto le ceramiche e le porcellane, create in Giappone da artigiani specializzati nel finissimo e scenografico vasellame che si addice alla cucina kaiseki. Il locale si trova in piazza Alvar Aalto, nel cuore dello skyline di Porta Nuova, e continua a ospitare al suo interno IYO Omakase, un’insegna che vive di vita propria e che propone l’esperienza tradizionale del pasto al bancone con il menu deciso dallo chef, che lo prepara davanti agli occhi dei commensali. Le figure fondamentali di Iyo Kaiseki sono, oltre a Liu, lo chef Katsumi Soga, classe 1975, originario della prefettura di Shizuoka, sulle pendici del monte Fuji, in Italia dal 2006 e nel gruppo Iyo dal 2020 dopo tante esperienze in ristoranti di livello, che lavora con la collaborazione del pastry chef Luca De Santi e di Takeshi Iwai, nel nuovo ruolo di travelling chef di IYO Group; la affascinante restaurant manager Federica Strologo, marchigiana, classe 1986, che tempera il rigore del servizio con una buona dose di empatia; e la sommelier Vanessa Simini, tarantina, anch’essa classe 1986, che vanta anche la qualifica di sommelier alla Sake Sommelier Association.
A lei spetta la gestione di una cantina con 700 referenze, con un’ampia selezione di sake, vini italiani, europei e dal mondo.IYO Kaiseki, piazza Alvar Aalto 9N02, Milano. Tel. 0225062888. Aperto dal martedì al sabato a pranzo e cena, chiuso domenica e lunedì
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.