Antonio Signorini
nostro inviato
a Gubbio (Perugia)
Il sì alla missione in Libano vacilla, le critiche sulla linea di politica estera dellUnione si rafforzano, la polemica sul ritiro forzato chiesto dalle sinistre dellUnione è al calor bianco. Forza Italia issa la bandiera dellidentità occidentale, dellalleanza con gli Stati Uniti e Israele. Da Roma arrivano parole chiare sulla missione a Kabul. «L'Unione sbanda paurosamente anche sulla missione italiana in Afghanistan. È necessario non cedere alla propaganda», dice Isabella Bertolini di Forza Italia.
Il capogruppo al Senato Renato Schifani non ha dubbi: «La nostra missione deve assolutamente proseguire per la nostra sicurezza e per quella di tutto l'Occidente». E il vicecoordinatore Fabrizio Cicchitto considera giusta la richiesta della Nato di potenziare il nostro contingente militare.
Da Alleanza nazionale arriva la denuncia delle contraddizioni pericolose allinterno della maggioranza: «Oggi chi è alleato di governo della sinistra radicale sa che se lascia perdere la partita della lotta al terrorismo, perde definitivamente la partita della propria credibilità», spiega Alfredo Mantovano. E se la missione Isaf è stretta nelle contraddizioni del centrosinistra, loperazione Leonte che sta prendendo corpo in Libano per gli azzurri riuniti a Gubbio ha troppi lati oscuri e rischia di finire avviluppata nelle lotte intestine del centrosinistra. Una missione che sembra pendere troppo dalla parte degli Hezbollah e per niente sul fronte della solidarietà con gli israeliani. Una missione che in nome della parola magica, multilateralismo, rischia di travolgere lasse Roma-Washington per crearne un altro con Stati arabi che vagheggiano la distruzione di Israele.
Forza Italia ancora non ha deciso come voteranno i gruppi parlamentari quando il decreto sulla missione italiana in Libano approderà alle Camere. Ma laria che tira a Gubbio è quella dei «falchi». Di chi, cioè, preferirebbe lasciare da sola la maggioranza di centrosinistra con le sue contraddizioni. O, in alternativa, pretende segnali precisi dalla maggioranza; impegni che ma questo non lo dicono lUnione difficilmente potrà prendere. È il caso di Giuseppe Pisanu, ex ministro dellInterno e senatore azzurro. Che non ha timore nellesprimere i suoi dubbi sulla missione militare più impegnativa alla quale la repubblica italiana abbia mai partecipato.
E che il governo dellUnione sta affrontando «con un sovraccarico di megalomania e spregiudicatezza, che noi non dobbiamo subire passivamente. Faremo di tutto per i nostri militari, ma nulla per questo governo». Cè, però una via duscita. «Se la scelta di Prodi è quella di allontanarsi da due pilastri della politica estera italiana, cioè la Nato e lamicizia verso gli Usa, noi dobbiamo dire di no. E se Prodi la pensa come noi ce lo deve dire con documenti parlamentari altrimenti non possiamo votare al buio una missione di cui non sappiamo tempi e mezzi». Se la politica estera del governo Berlusconi e di quella Prodi saranno messe sullo stesso piano «bene, altrimenti ognuno andrà per la sua strada». Servono quindi segnali di continuità rispetto alla politica del precedente governo. A partire, spiega Enrico La Loggia, da una conferma della missione in Afghanistan. Leuroparlamentare Antonio Tajani mette in evidenza come «in Europa cè molta più serietà e preoccupazione rispetto a Roma, dove Prodi e DAlema usano toni trionfalistici fuori luogo».
Lex presidente del Senato Marcello Pera dà un giudizio impietoso sulle scelte di Romano Prodi e di Massimo DAlema. Se la scelta di intervenire in Libano è passata, spiega, è solo perché il ministro degli Esteri lha presentata agli alleati come una missione contro Israele e contro gli Stati Uniti. E se durante la missione succederà qualcosa «daranno la colpa a una reazione esagerata di Israele e dellAmerica.
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