Taranto - Quasi un anno fa aveva detto: il giorno in cui il delitto sarà risolto sarà "il più bello della mia vita". Ma non potrà mai vederlo. Pietrino Vanacore, l'ex portiere dello stabile di via Poma, a Roma, dove fu uccisa Simonetta Cesaroni, si è suicidato legandosi una fune al collo e lasciandosi andare in un corso d’acqua, a Torre Ovo di Torricella, nel Tarantino. Il cadavere è poi finito in mare, dov'è stato trovato nelle acque antistanti Torre Ovo, nella marina di Maruggio. Vanacore era stato indagato, e poi prosciolto, per l’omicidio della Cesaroni avvenuto il 7 agosto del 1990. Al collo l'ex portinaio aveva un cartello con la scritta "20 anni di sofferenza e sospetti portano al suicidio".
Doveva deporre Venerdì prossimo avrebbe dovuto essere comparire davanti alla corte d’Assise di Roma, insieme agli altri ex indagati per l’omicidio della Cesaroni. L’ex portinaio di Via Poma fu il primo indagato per l’assassinio della ragazza e per questo trascorse anche alcuni giorni in prigione. Ma a conclusione della prima indagine fu prosciolto. Finito di nuovo nell'inchiesta il 26 maggio del 2009 la procura di Roma aveva deciso di archiviare l’ultima indagine su di lui.
Il giorno più bello Il 20 aprile del 2009 il legale di Vanacore aveva dichiarato: "Ha sofferto per la pressione mediatica sfociata nel mancato rispetto della privacy. Ha cercato di dimenticare, ma il periodico aggiornamento della vicenda ha riaperto la ferita. Lui ha sempre detto che il più bel giorno della sua vita sarà quando il caso sarà risolto". Ma non è riuscito ad aspettare quel giorno.
Il ruolo di Vanacore Tra la notte del 7 agosto '90 e la mattina successiva la polizia perquisisce l’intero palazzo di via Poma alla ricerca degli indumenti di Simonetta Cesaroni, ma non trovano nulla. Si ascoltano i testimoni, pochi perché molti inquilini sono già in vacanza. Dalle testimonianze si deduce che Simonetta è sola il 7 agosto. Probabilmente l’assassino della ragazza avrebbe tentato di violentarla, ma all’atto non è riuscito ad avere un’erezione e per questo, forse, preso da un raptus di follia, ha sfogato la sua rabbia colpendo Simonetta con 29 pugnalate. Resosi conto dell’accaduto, ha tentato di pulire l’appartamento dal sangue e di riordinare l’ufficio per poi far sparire il corpo. Ma qualcosa o qualcuno lo avrebbe disturbato. I sospetti fin da subito cadono su Pietrino Vanacore. Lo stabile è molto grande e ha quattro portieri: Vanacore, però, non era con gli altri colleghi giù nel cortile nell’orario che va dalle 17,30 alle 18,30, cioè l’orario in cui Simonetta sarebbe stata uccisa.
L'alibi mancante Poi gli investigatori trovano uno scontrino sospetto: quel pomeriggio il portiere ha comprato dal ferramenta, alle 17,25, un frullino. Non solo. L’uomo, che in quel periodo presta assistenza tutte le sere in casa dell’anziano architetto Cesare Valle, afferma che alle 22,30 si è diretto a casa dell’uomo che abita in un appartamento alcuni piani più su dell’ufficio. Ma il suo racconto non collima con quello di Valle che sposta l’orario di arrivo di Vanacore alle 23. Gli investigatori sospettano che in quei 30 minuti il portiere si sarebbe affaccendato a pulire il luogo del delitto.
Le macchie di sangue Così gli indizi si stringono attorno a Pietrino Vanacore. Vengono trovati un paio di pantaloni con evidenti tracce di sangue. Nella scala B quel pomeriggio del 7 agosto 1990 ci sono solo due persone, Cesare Valle e Simonetta Cesaroni. I testimoni ascoltati dichiarano che nessun estraneo è stato visto entrare. E poì c’è il fatto che Vanacore si era assentato dalle 17,30 alle 18,30, orario dell’omicidio. Magistrato della procura e investigatori sono ormai certi: la soluzione dell’omicidio è ormai a un passo. Vanacore viene arrestato e per 26 giorni rimane in carcere con l’accusa di omicidio volontario. A scagionare Vanacore sarà però un esame approfondito sulle tracce di sangue sui pantaloni che risultano essere dello stesso portiere, che soffre di emorroidi. Inoltre Vanacore ha indossato gli stessi abiti per tre giorni di fila, dal 6 agosto all’8 agosto 1990, e su questi indumenti non è stata trovata traccia di sangue di Simonetta Cesaroni. L’assassino non può essere il portiere.
Via Poma, 20 anni di misteri Ecco una cronologia delle principali tappe
dell’inchiesta sull’omicidio:
7 agosto 1990 In via Poma, nell’ufficio dell’Associazione alberghi della gioventù, è uccisa
Simonetta Cesaroni. Il cadavere è trovato per l’insistenza della sorella Paola, preoccupata per il suo ritardo. Simonetta è nuda, ma non ha
subito violenza carnale. Il cadavere è stato trafitto con 29 colpi di tagliacarte, vibrati su quasi tutte le parti del corpo.
10 agosto 1990 Fermato Pietrino Vanacore, uno dei portieri dello stabile di via Poma, che sarà scarcerato il 30 agosto.
8 ottobre 1990 Consegnati i risultati dell’autopsia. Il corpo ha una lesione a un’arcata sopracciliare e diverse ecchimosi.
La morte, avvenuta tra le 18 e le 18,30, è dovuta alle coltellate, vibrate sul corpo senza vestiti.
16 novembre 1990 Il pm Catalani chiede l’archiviazione della posizione di Salvatore Volponi, datore di lavoro di Simonetta.
26 aprile 1991 Il gip Giuseppe Pizzuti accoglie la richiesta di Catalani e archivia gli atti riguardanti Pietrino Vanacore e altre cinque
persone. Il fascicolo resta aperto contro ignoti.
3 aprile 1992 Avviso di garanzia a Federico Valle, nipote dell’architetto Cesare Valle, che abita nel palazzo di via Poma e che la notte del
delitto ha ospitato Vanacore. Valle è coinvolto dalle dichiarazioni dell’austriaco Roland Voller.
16 giugno 1993 Il gip Antonio Cappiello proscioglie Valle per non aver commesso il fatto e Vanacore perché il fatto non sussiste.
30 gennaio 1995 Escono di scena definitivamente Valle e Vanacore: la Cassazione conferma infatti la decisione della Corte d’Appello di
non rinviare a giudizio i due indiziati.
20 agosto 2005 Claudio Cesaroni, padre di Simonetta, muore per una pancreatite.
12 gennaio 2007 La trasmissione Matrix rivela che dalle analisi del Ris di Parma sarebbe emerso che il dna trovato sugli indumenti di
Simonetta è dell’ex fidanzato Raniero Busco.
Simonetta inoltre non sarebbe morta alle 18, ma alle 16. Il pm Cavallone decide di querelare Mentana per le rivelazioni.
6 settembre 2007 Busco è iscritto dalla procura di Roma sul registro degli indagati per omicidio volontario.
28 maggio 2009 La procura di Roma chiede il rinvio a giudizio di Raniero Busco.
3 febbraio 2010 In Corte d’Assise comincia il processo. Imputato per omicidio volontario Raniero Busco.
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