Via Poma, medico legale su Vanacore "Caso di suicidio troppo imperfetto"

L’esperto che ha eseguito l’autopsia avanza dubbi sulla fine dell’ex portinaio: "Davvero strano morire in pochi centimetri d’acqua. E non convincono le modalità"

Via Poma, medico legale su Vanacore 
"Caso di suicidio troppo imperfetto"

Taranto - «Sono 20 anni che faccio questo mestiere e in effetti ogni caso è diverso dall’altro, ma questo presenta davvero tanti lati oscuri». Così, senza usare mezzi termini, Massimo Sarcinella, il medico legale che ha eseguito l’autopsia su Pietro Vanacore, esprime i propri dubbi e non esita a definire «un giallo» il suicidio dell’ex portiere del palazzo di via Poma, a Roma, dove il 7 agosto del ’90 fu uccisa Simonetta Cesaroni.

Il cadavere di Vanacore è affiorato il 9 marzo nelle acque di Torre Ovo, frazione di Torricella, una quarantina di chilometri da Taranto, poco distante dalla sua abitazione di Monacizzo. Il corpo, con una caviglia legata a un pino poco distante dalla riva, è stato trovato nella tarda mattinata in un punto dove l’acqua è particolarmente bassa: appena un metro, come hanno accertato i carabinieri. L’autopsia ha confermato la morte per annegamento, ma i dubbi rimangono. E il sostituto procuratore del tribunale di Taranto, Maurizio Carbone, ha aperto un’inchiesta a carico di ignoti per istigazione e induzione al suicidio disponendo accertamenti anche sui tabulati telefonici di Vanacore.

Dottor Sarcinella, perché ritiene che questo sia un suicidio con tanti lati oscuri?
«Non entro nel merito nelle indagini, ma parlo in base alla mia esperienza: in effetti sono state rilevate alcune anomalie».

Quali?
«Per prima cosa lascia perplessi la zona scelta per togliersi la vita».

Per quale motivo?
«In quel punto l’acqua è davvero bassa, arriva quasi a sfiorare gli scogli. Tanto che sarebbe stato sufficiente afferrare una roccia con una mano per mettersi in salvo».

Questo secondo lei che cosa significa?
«Di certo non è in discussione la morte per annegamento, che è stata accertata con l’autopsia, ma suscita qualche dubbio la decisione di lasciarsi andare in quel tratto di mare».

Perché?
«Di solito una persona che intende suicidarsi preferisce non correre il rischio di non portare a termine il suo tragico progetto e cerca in qualche modo di prevenire l’istinto di conservazione, quello alla sopravvivenza: quindi è strano che sia stata individuata proprio quella zona. Ma non è tutto».

A che altro si riferisce?
«Al fatto che il suicidio sia stato compiuto a ridosso di una strada molto trafficata e in pieno giorno, quando da lì passa tanta gente che sarebbe potuta intervenire».

Secondo lei i messaggi di addio lasciati da Vanacore non bastano a cancellare ogni dubbio?
«Parlo da medico e legale, quindi ritengo che i dubbi possano essere fugati solo con accertamenti tecnici specifici. E comunque a mio avviso anche quei biglietti per certi versi sono anomali».

Per quale motivo?
«Sono molto grandi, troppo visibili. In casi di questo genere di solito non è così. Allo stesso modo non è comune la lucidità mostrata da Vanacore nel predisporre il suicidio, il modo in cui si è premurato di far ritrovare il corpo legandosi una caviglia con una fune fissata a un albero».

Un elemento decisivo a conferma del suicidio potrebbe però essere l’anticrittogamico ingerito dall’ex portiere, ma l’autopsia non ha consentito di accertare questo particolare.
«Il mare forse ha eliminato i residui, ma la traccia rimane sempre. Una risposta precisa potrà arrivare dagli esami tossicologici. La causa della morte è l’annegamento, ma quella sostanza probabilmente è stata assunta come narcotizzante. Questo spiegherebbe altre cose».

Quali?
«La

zeppola e i due bocconi di pane mangiati prima di prendere l’anticrittogamico e subito dopo: forse c’era la volontà di cancellare il sapore sgradevole e di evitare il vomito, in ogni caso sono in corso altri accertamenti».

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