Pomarici non ci sta: «Quei dati? Li abbiamo ricevuti dagli 007»

Il pm milanese: «Gli agenti hanno risposto alle nostre domande solo dopo l’ok dai vertici dell’intelligence»

da Milano

Alla fine del pomeriggio Ferdinando Pomarici non sa ancora nulla del discorso di Rutelli. Il Procuratore aggiunto, che col collega Armando Spataro da quattro anni indaga sul sequestro Abu Omar, si fa leggere le parole del vicepremier. Poi, con la consueta pacatezza, Pomarici replica, partendo dal dato più clamoroso e appariscente: «Ma certo che abbiamo acquisito elementi attinenti all’identità di 85 dipendenti del Servizio, ce li hanno dati loro». Loro chi? «Il Sismi ci ha fornito i nomi. Noi siamo andati avanti per anni ad indagare, dico per anni e nessuno ci ha mai opposto il segreto di Stato. Anzi, gli stessi funzionari del Sismi avevano avuto dai superiori l’ok a rispondere liberamente alle nostre domande perché sull’argomento non c’era segreto di Stato. E molti fra di loro hanno risposto alle nostre domande».
Insomma, questa storia di Abu Omar appare sempre più strana. Per un lungo periodo l’inchiesta è andata avanti come se si stesse facendo luce su un qualsiasi malaffare, tangenti o rapine. Ora, con l’udienza preliminare a un passo dalla conclusione e il processo a ventisei agenti della Cia e ai vecchi capi del Sismi già confezionato, è il governo a riprendere per la coda l’argomento del tabù di Stato.
E per Pomarici i conti non tornano: «Questa questione è stata sollevata per la prima volta dal generale Pollari il 15 luglio scorso. E in modo generale e generico. In pratica Pollari ci ha detto: «Ci sono dei documenti che dimostrano la mia innocenza ma io non posso utilizzarli perché violerei il segreto». Io intanto dico che la Corte costituzionale e la Cassazione hanno affermato la prevalenza del diritto alla difesa su tutti gli altri interessi. Lui ha tutto il diritto di difendersi e non per questo commetterà reato. In ogni caso la Procura si è rivolta al governo con un’interpellanza per forza di cose generale e generica, per sapere se in qualche modo nel processo e lungo la nostra strada abbiamo toccato una qualche questione coperta dal segreto. Ma noi, tuttora, non sappiamo se e dove abbiamo incrociato argomenti tabù. Possiamo pensare che ci sia un qualche tema che il governo vuole tenere riservato, ma non lo conosciamo».
In Procura pensano ai rapporti fra Italia e Usa o fra Sismi e Cia o a qualche altro elemento nei rapporti fra Italia e Stati Uniti, ma si procede a tentoni, per ipotesi. Pomarici resta ai fatti: «Rutelli, se ho capito bene, sostiene che abbiamo intercettato gli agenti del Sismi. È vero, ma rispondo che non c’è una norma che vieti alla magistratura di farlo né di indagare sugli 007. Anzi, io ho l’obbligo, davanti a una notizia di reato, di andare a fondo e questo, solo questo è stato il nostro obiettivo».
Domani, salvo improbabili colpi di scena, il gip di Milano disporrà il rinvio a giudizio di oltre trenta persone accusate a vario titolo di aver preso parte al sequestro di Abu Omar, a Milano la mattina del 17 febbraio 2003. Pomarici è tranquillo: «Riteniamo di avere le prove di quanto sosteniamo. Pollari, come ci dicono alcuni alti ufficiali del Sismi, ricevette dal capo della Cia in Italia Jeff Castelli l’input a collaborare al prelevamento di Abu Omar, e incaricò i suoi più stretti collaboratori di eseguire il compito. Sicuramente furono effettuati dal Sismi alcuni appostamenti».
E infine Abu Omar fu portato via e consegnato alle autorità egiziane che l’hanno rilasciato, in pessime condizioni fisiche, solo domenica scorsa. Si torna al punto di partenza, al segreto di Stato. «Rutelli - riprende Pomarici - dice che la Consulta potrà fornire utili, ulteriori elementi di valutazione. Se è così, forse vuol dire che più che sostenere un braccio di ferro con noi il governo cerca elementi per interpretare la norma. Stiamo a vedere.

Però, ripeto, io ho l’obbligo di indagare e a me del segreto di Stato non interessa. È stato Pollari, e poi il governo, a sollevare questo tema, ma non so nemmeno a cosa si riferiscano: noi abbiamo fatto la nostra inchiesta senza andare a sollevare alcun coperchio di Stato».

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