Il populismo al governo

È riuscito in sette mesi a battere ogni record di impopolarità. Ma Romano Prodi si è presentato agli italiani rivendicando alla sua sola presenza a Palazzo Chigi la ripresa economica che si intravede, raccontando i cinque anni di governo della Casa delle libertà come la stagione del buio e annunciando per il 2007 una svolta che ricorda quella promessa di «felicità» che si era lasciato sfuggire in campagna elettorale. Nelle parole pronunciate ieri dal presidente del Consiglio non è emerso un problema, non è stata affrontata una sola delle grandi questioni politiche e sociali che preoccupano l'opinione pubblica.
La nuova strategia della comunicazione, di cui si era parlato nelle scorse settimane per fronteggiare i sondaggi infausti e il mal sottile che corrode l'Unione, si è ridotta ad uno schemino elementare: presentare la stagione del governo Berlusconi come un disastro e l'avvento del centrosinistra come la salvezza. La sollecitazione di Eugenio Scalfari si è tradotta subito nella dittatura dell'anti-berlusconismo più puro e delle «magnifiche sorti e progressive» della maggioranza, naturalmente a guida Prodi. Se si fosse invocata la dittatura nel centrodestra, sarebbe successo un finimondo. Se ieri a parlare fosse stato Berlusconi, a parti invertite, si sarebbe gridato al trionfo dell'anti-politica.
Ma al Professore è riconosciuto il diritto di lanciare messaggi populisti - li si definisce ottimismo - e di dividere l'Italia. Ieri ha parlato solo ai suoi, con il consueto metodo del prendere o lasciare. L'altra metà del mondo politico è stata solo oggetto di un anatema, di un vero e proprio negazionismo, visto che è stata perfino cancellata la riforma Maroni. Il presidente del Consiglio non poteva essere così ingenuo da pensare che Berlusconi non avrebbe reagito segnalando la scorrettezza del metodo scelto e che dure risposte non sarebbero venute anche da An o dal «moderato» Cesa. Ha proprio scelto di alimentare la divisione bipolare.
Nel farlo, ha anche chiuso ogni spazio alla sola eventualità di una «fase 2», oggetto di divisione tra la carica massimalista e i sussurri riformisti presenti nell'Unione. Ha compiuto un'operazione blindatura. Ha avvisato gli alleati che tutto il bene sta da una parte, la sua, e tutto il male sta dall'altra. Ha sollecitato a dare la priorità alla logica di schieramento rispetto ai contenuti. Ha elencato un'infinità di obbiettivi, ha mescolato le carte, per sfuggire così alle urgenze sottolineate non solo da alcuni alleati, ma anche da corposi settori della società. Ha scommesso solo sull'immagine della ripresa e di ciò che la segnala, come l'aumento del gettito fiscale, appropriandosi così anche di ciò che aveva fatto il centrodestra fino alla scorsa primavera.
Non c'è nulla di nuovo in questo metodo. Ricorda quello di dieci anni fa, quando Prodi si fermò il giorno dopo l'accordo sull'introduzione dell'euro. Oggi ha incassato la Finanziaria, di cui la maggioranza degli italiani continua a non capire l'utilità, e punta su ciò che alla cultura politica della sinistra riesce meglio: la virtualità. Virtuali sono i successi del governo. Virtuale è il nuovo ruolo dell'Italia nel mondo. Virtuali sono le lezioni morali impartite un po' a tutti. Virtuale è la descrizione del buio della stagione della Casa delle libertà. Virtuale è il riformismo dell'Unione.

Solo la «dittatura» invocata da Scalfari non è virtuale. Ma non è un segnale di forza. È soprattutto di debolezza, visto che è solo l'annuncio di una paralisi - o di disastrose scelte, come la Finanziaria - nel nome del potere e del populismo.

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