Nella storia di questo Paese, dei suoi misteri e delle mezze verità, l’ormai ex presidente del Tribunale Vaticano (decade il prossimo 31 dicembre 2024) Giuseppe Pignatone ha avuto una carriera costellata da moltissime luci e da pochissime ombre, tutte o quasi coincidenti con i suoi ultimi anni con la toga, in grado però di offuscarne - seppur in minima parte - il suo curriculum impeccabile di servitore dello Stato.
Se il suo intuito investigativo gli ha permesso numerosi successi contro la mafia, in Sicilia prima, poi in Calabria e a Roma, è nei suoi anni da Procuratore capo nella Città eterna, con la sconfitta del suo teorema investigativo al processo su Mafia Capitale (che mafia non era) che la sua stella si è lentamente offuscata. «Ma i processi confermano l’esistenza di una significativa presenza mafiosa anche nella Capitale», ha sempre sostenuto Pignatone.
Per questo flop prima gli è stata negata la nomina a Procuratore nazionale antimafia poi il suo discepolo Michele Prestipino - che aveva raccolto la sua eredità nella procura capitolina - è stato estromesso da Roma, vittima neanche troppo involontaria del pasticcio di Luca Palamara, del giallone dell’Hotel Champagne ben ricostruito da Antonio Barbano nel suo «La Gogna» (Link) e già costato un pezzo di carriera a Marcello Viola, designato dal Csm a Roma poi dirottato a Milano da papa straniero perché vittima sacrificale del gioco al massacro tra le correnti. Di Pignatone parla spesso Palamara nei suoi libri scritti con Alessandro Sallusti, lo stesso ex leader dell’Anm sostiene da sempre che la sua vicenda giudiziaria sia stata utilizzata «per impedire una nomina (quella di Viola, ndr) che una parte della magistratura e della informazione di riferimento fortemente avversava temendo una discontinuità con la gestione Pignatone».
Poi da Caltanissetta è arrivata la tegola, a oltre trent’anni di distanza, di un suo accostamento con una pista investigativa che lo vorrebbe complice dell’insabbiamento di un’inchiesta - la Mafia-Appalti, nata dal Ros guidato da Mario Mori - su cui Giovanni Falcone e Paolo Borsellino avrebbero voluto indagare e che potrebbe essere uno dei moventi legati alla tragica morte dei due magistrati. Aver potuto contribuire ad affossare un’indagine, favorendo così la mafia assassina, è un’onta da cui comunque Pignatone rischia comunque di non liberarsi mai, ed è un peccato per la sua reputazione. «Ho dichiarato la mia innocenza in ordine al reato di favoreggiamento aggravato ipotizzato. Mi riprometto di contribuire, nei limiti delle mie possibilità, allo sforzo investigativo della Procura di Caltanissetta», ha promesso Pignatone. In passato era stato già indagato per una vicenda che ruotava attorno ad alcuni immobili che il padre aveva acquistato da un imprenditore in odore di mafia ma era stato assolto. Va anche detto che dallo scorso luglio dopo l’indagine per presunti legami con la mafia, dal Vaticano non è arrivato né un segnale di distacco né una benché minima forma di solidarietà.
Anche se il suo addio da presidente del tribunale vaticano era nell’aria, dicono fonti ecclesiastiche, per aver raggiunto i limiti di età fissati per la magistratura vaticana, bisogna ricordare che dopo cinque anni di mandato Pignatone si congeda con «l’onta» della condanna a monsignor Angelo Becciu per peculato senza essersi messo in tasca un euro, come ricorda Mario Nanni nel suo libro (https://www.ilgiornale.it/news/vaticano/becciu-chi-era-costui-libro-sull-ex-segretario-stato-spiega-2406195.html), arrivata qualche giorno dopo la decisione «motu proprio» del Papa di dagli la cittadinanza vaticana, lo stipendo e la pensione cumulabile con quella italiana, elevandolo al rango di cardinale (link) appena pochi giorni prima della condanna.
Su Pignatone si concentrano anche una parte dei misteri del rapimento di Emanuela Orlandi: fu lui infatti nell'ottobre del 2015 a chiudere per mancanza di prove l’inchiesta sulle rivelazioni di Sabrina Minardi sul suo compagno dell’epoca Enrico De Pedis, il leader della Banda della Magliana sepolto nella basilica di Sant’Apollinare, estumulato nel 2012 su ordine della Procura, cremato e seppellito a Prima Porta. La Banda della Magliana avrebbe avuto un ruolo nella sparizione della ragazza il 22 giugno 1983, forse per compiacere qualche alto prelato, tra gli indagati c’erano monsignor Pietro Vergari, ex rettore della basilica di Sant'Apollinare dove fino al 2012 era stato sepolto De Pedis; Sergio Virtù, autista del boss; Angelo Cassani detto Ciletto Gianfranco Cerboni detto Giggetto; Marco Fassoni Accetti e la stessa Sabrina Minardi.
Oggi che si riparla del caso dopo le rivelazioni del Promotore di Giustizia del Vaticano Alessandro Diddi sul dossier Orlandi che è magicamente rispuntato (Link) tanto il fratello di Emanuela, Pietro Orlandi commenta: «Ci sono diversi tipi di benefattori della Chiesa, c’è chi viene ricompensato con una tumulazione in una Basilica e chi viene nominato presidente del Tribunale Vaticano». Del caso Orlandi si parla da settimane alla omonima commissione d’inchiesta, dove Pignatone potrebbe essere anche convocato.
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