Prigionieri del censimento ma fuggire è impossibile

Prigionieri del censimento ma fuggire è impossibile

Italiano, occhio, non distrarti: l’Istat ti controlla. In questo periodo, il popolo sovrano si sta spremendo le meningi per rispondere adeguatamente all’interrogatorio del censimento. Dobbiamo tutti quanti applicarci e consegnare il compito senza errori. Al tempo della privacy, ormai sacra e inviolabile in tutti i settori della nostra vita, fuorché i più delicati, l’istituto di statistica pretende con modi polizieschi che vuotiamo il sacco. Neppure in questura si respira più quest’atmosfera. Ecco qui le domande, rispondi in modo appropriato e vedi di non fare il furbo. Non esiste nemmeno la libertà di sbagliare. Men che meno di mentire. Forza, canta: dove dimoravi abitualmente cinque anni fa? Dove ti trovavi l’11 ottobre? Nella settimana dal 2 all’8 ottobre hai lavorato almeno un’ora? In questura si può fornire un alibi, al censimento no.
Dev’essere ben chiaro a tutti, non sono ammesse sbavature. Gli sbirri della statistica sono pronti a intervenire personalmente, a domicilio, ancora non è ufficiale se con olio di ricino. Ufficiale invece il tariffario per chi si rifiuta di compiere il proprio dovere civico: multe da 200 a 2.000 euro. A memoria d’uomo, soltanto il servizio di leva risultava così invasivo. Quello però l’abbiamo abolito. Studiato con la consueta meticolosità dal glorioso Ucas (Ufficio complicazioni affari semplici), il plico arrivato nelle nostre abitazioni è in realtà molto più ponderoso, complicato e prolisso di quel che servirebbe. Sostanzialmente dobbiamo rivelare notizie che più o meno conoscono già in Municipio, nome cognome data di nascita, dove abitiamo, quanti siamo in famiglia, se abbiamo un lavoro. La confessione che potremmo sottoscrivere in un modulo richiede a livello cartaceo un mezzo istant-book. La conseguenza è sotto gli occhi di tutti: una buona parte degli italiani è letteralmente spaventata dall’impegno, sicura di non essere all’altezza. Basti pensare a quante anziane mamme ci stanno chiamando per chiedere aiuto, disperato Sos come quando schizza in alto la pressione o perde la lavatrice. Altri, obiettivamente più attrezzati, lasciano comunque sul tavolo la busta, guardandola tutti i giorni di traverso, sempre più di traverso, consapevoli che prima o poi bisognerà comunque aprirla e affrontare la seccatura.
Questa è la quindicesima volta che gli italiani si sottopongono al rito. L’ultima, nel 2001. Non cambia il censimento, è indubbiamente cambiato il Paese. Diciamolo: ci risulta più difficile, oggi, pensare che per contarci, noi e le nostre case, ancora si debba ricorrere a questo strumento. Nell’era delle immense banche dati, nell’era del grande fratello che sa tutto di noi, ancora dobbiamo compilare il fascicolo e poi consegnarlo mettendoci in coda alla Posta (magari un giorno bisognerà pur parlarne, di queste Poste che s’inventano di tutto, dai conti correnti ai gadget, salvo costringerci ancora a code anni Sessanta per pagare un bollettino). E comunque vediamo di non raccontarcela: tutti sappiamo bene, perché li incontriamo agli incroci o nascosti in qualche vecchia cascina, per non dire nei lussuosi appartamenti sotto le mentite spoglie di badanti, che in Italia staziona un’enormità di clandestini. Concludere dopo un macchinoso censimento che siamo, a caso, 61milioni 413mila 384, è un’evidente approssimazione: meglio, una bugia. Gli italiani messi sotto torchio dal censimento non sono gli abitanti che realmente abitano questa nazione. Troppi fantasmi sfuggono alla conta.
Prima di entrare in modo così irruente nella nostra libera quiete, qualcuno ci dovrebbe spiegare davvero a cosa serva ancora il censimento: questa la verità. Con un’evidente dose di ottimismo, ma tutto sommato anche con invidiabile sense of humor, l’Istat si ostina a sostenere che il censimento serva «per orientare le politiche economiche», ma questa conviene prenderla come una buona battuta, perché sappiamo meglio dell’Istat come in Italia le politiche economiche vengano disegnate tenendo conto di tantissimi fattori, certo non degli italiani.


Viene comunque aggiunto, sempre dall’Istat, sempre con smodata ambizione, che il censimento ci spiegherà «come cambia la nazione». Ma anche in questo caso l’utilità non appare poi così evidente. In realtà, per sapere come siamo, come siamo diventati, basta passare un paio d’ore - dico a caso - in un outlet di sabato pomeriggio.

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