Prodi: «Ci giochiamo tutto da qui a Natale»

Laura Cesaretti

nostro inviato a San Martino al Campo (Perugia)

A mali estremi, estremi rimedi: sulle teste dei suoi ministri, raccolti in silenzio attorno al tavolo a ferro di cavallo sotto due grandi tele rinascimentali (per la cronaca uno raffigurante due capre e l'altro dei volatili da cortile), Romano Prodi ha invocato nientemeno che la discesa dello Spirito Santo.
La coincidenza, va detto, era propizia: ieri era la festa della Pentecoste, nonché il primo dei due giorni di seminario a porte chiuse dell'esordiente governo, raccolto in un villone-resort della campagna perugina. E dopo le settimane di cacofonia che han caratterizzato il debutto del centrosinistra alla guida del Paese, Prodi ha auspicato «il miracolo della polilalia», ha spiegato, che illuminò a suo tempo i discepoli di Cristo: «E tutti furono riempiti di spirito santo e cominciarono a parlare in altre lingue» (Atti degli Apostoli 1-4), comprendendosi però l'un l'altro. Con il richiamo pentecostale ad una «lingua comune e saggia», il premier ha dunque aperto solennemente i lavori di questo ritiro spirituale da lui fortemente voluto con lo scopo, innanzitutto, di dare una registrata all'effervescente verve comunicativa dei ministri. E di ingranare la marcia per quella che un suo ministro definisce «una indispensabile partenza sprint, che eviti il pericolo di impantanarci subito nelle difficoltà interne». Ha detto Prodi: «Abbiamo una grande responsabilità verso il paese: bene o male, abbiamo proposto un programma di governo agli elettori e ora sta a noi realizzarlo». Evitando di andare ognuno per conto suo, possibilmente: «Bisogna avere spirito di squadra: siete tutti esponenti di parti politiche, ma se si entra nel governo si diventa in primo luogo rappresentanti di quel governo».
E ha aspramente redarguito i troppi protagonismi: «Non abbiamo bisogno di fenomeni» alla ricerca di exploit mediatici personali, perché «io valorizzerò tutti», a patto che «si giochi insieme creando una squadra forte».
Il premier sente evidentemente il rischio concreto che una falsa partenza indebolisca subito le chance del suo governo, e lancia un monito: «Dobbiamo saper dare messaggi forti di cambiamento: ci vogliono riforme radicali, e sia chiaro che ci giochiamo tutto di qui a Natale».
Quindi, ha spiegato, «dobbiamo avere il coraggio di osare e di stupire, senza fermarsi a contare i voti che questo o quel provvedimento può fruttare». Va detto che il «coraggio di stupire» molti membri del governo lo hanno già dimostrato sul campo, almeno negli annunci: ponti abbattuti, Cpt smantellati, embrioni scongelati dall'uno e subito ricongelati dall'altro e via dicendo. Ma non è questo che intendeva Prodi, evidentemente. Poi è toccato al ministro dell'Economia Padoa-Schioppa, che l'ha messa giù dura: la situazione dei conti è «grave», ha messo subito le mani avanti per avvertire che l'assalto alla diligenza della spesa pubblica troverà in lui un ostacolo difficile da aggirare. «Facce sbiancate» attorno al tavolo, racconta un testimone. Appelli al «rigore» per potere «tenere insieme crescita ed equità», richiami alla necessità di «tener fede agli impegni presi dal precedente governo» sul rientro dal deficit. E dura tirata d'orecchie a enti locali e regioni per i loro conti «fuori controllo».
Oggi, i ministri saranno chiamati a dire la loro, esponendo idee e linee di intervento. C'è anche chi, come Giuseppe Fioroni (Pubblica Istruzione), è arrivato fornito anche di «slides», pronto «se lo vorranno» a tenere documentate lezioni su uno dei temi più scottanti del giorno, la ricerca sulle staminali. Allo scopo, ovviamente, di rintuzzare il collega Fabio Mussi che vorrebbe aprire alla ricerca sugli embrioni soprannumerari, e di tacitare Piero Fassino, che ha scelto non a caso proprio la giornata di ieri per rilanciare la proposta di modificare in senso meno oscurantista la legge sulla fecondazione assistita. Già, Fassino è il grande assente dal conclave di San Martino: ci sono Rutelli e D'Alema, Di Pietro e Pecoraro, la Bonino e Mastella, dei leader manca solo lui. Anche se ieri pomeriggio, dalle due ali di paesani che attendevano assai eccitati l'arrivo in autoblù di tante facce note della tv, si è levato un grido: «Piero! Piero! Ecco Fassino!», e giù applausi. Peccato che a scendere dalla macchina, con delusione dei fan fassiniani, sia stato Silvio Sircana, portavoce prodiano la cui lunga ed esile sagoma, dietro i vetri fumé, era stata scambiata per quella del più celebre segretario ds. Scena surreale, l'arrivo dei ministri: curiosi e giornalisti transennati in mezzo alla strada provinciale, a debita distanza dagli invalicabili cancelli della villa, e un rombante ed eccitato via vai di scorte e auto blindate. I più puntuali? Barbara Pollastrini e Alessandro Bianchi. L'ultimo? Francesco Rutelli, mezz'ora di ritardo, in jeans molto sbiaditi e blazer blu, che saluta a pollice alzato e sorrisone.

Nel mezzo, alla spicciolata, tutti gli altri: Prodi country in maglione di cotone bianco, Mastella che sgomma, Di Pietro che porta con sé la custodia dell'abito di ricambio (solo lui, Amato e Santagata hanno optato per una mise formale, giacca e cravatta), la Turco in rosa shocking, la Melandri in camicetta a fiorellini, Chiti in maniche di camicia, D'Alema in polo blu che accenna un pugno chiuso verso il pubblico che lo acclama (lui e Di Pietro i più applauditi, Pecoraro si prende però i sospiri ammirati di una signora umbra: «Nonostante i pettegolezzi, lo inviterei volentieri a pranzo...».

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