Prodi inventa la missione di guerra e pace

Il Professore: mi auguro una soluzione politica, non disarmeremo noi le milizie sciite

Gianni Pennacchi

da Roma

Dalla tragedia alla farsa il passo è breve, anche i grandi attori rischiano di scivolare, ma questa messa in scena da Romano Prodi e dal suo fido Arturo Parisi è un mix indefinibile quanto incredibile, che merita però un titolo appropriato, «vai avanti tu che a me viene da piangere». Più che un balletto da pochade o una danza sull’orlo di un precipizio, il presidente del Consiglio e il ministro della Difesa interpretano il duetto dell’imbarazzo e dell’impotenza, schiacciati da un gioco più grande di loro e nel quale si sono imbarcati - sotto il pungolo di Massimo D’Alema che regge la Farnesina, va detto - con ingenua baldanza. La missione di «guerra e pace» in Libano si va rivelando un ginepraio, l’Onu non riesce a fissarne i termini e le regole d’ingaggio, par che nessuno possa o voglia disarmare hezbollah, tant’è che tutti gli altri Paesi europei si son defilati o quasi. Lasciando in braghe di tela il nostro governo, sin troppo entusiasta nell’intonare il «partiam partiamo». Par che Prodi e Parisi ora, sian passati al «tutti a casa». Il premier, tempestando di telefonate il suo collega libanese Fouad Siniora e il segretario generale dell’Onu Kofi Annan, per chiedere lumi e conforto. E il ministro della Difesa annunciando che se l’Onu non dà «regole chiare» di ingaggio, i nostri militari restano a casa.
Anche Prodi ha chiesto ad Annan «un mandato chiaro, privo di ambiguità e con regole di ingaggio ben precise per i militari che saranno impegnati nella zona», e come Parisi le aspettava per ieri sera o al più tardi per l’alba di oggi. Se no, che cosa deliberi nel Consiglio dei ministri convocato apposta, e che vai a raccontare alle competenti commissioni di Camera e Senato che attendono congiunte il verbo di Parisi e D’Alema al più tardi per l’ora di pranzo? Tremila ragazzi, ne volevan mandare. Mentre la Spagna ci sta ripensando, la Francia che pur guida la missione più di duecento non ne mobilita, la Germania sta alla finestra e s’offrono volontari i paesi islamici che non hanno rapporti diplomatici con Israele. Con Prodi che ribadisce la linea di D’Alema, «a disarmare gli hezbollah provvederà il governo libanese»: come affidare il pollaio a una volpe. E Parisi che avverte come in Libano bisogna esser pronti a sparare e morire, perché «interveniamo tra due fuochi, tra carboni ardentissimi: e l’intervento militare è per definizione aperto al rischio di dover utilizzare le armi».
Regna l’incertezza e la confusione, non c’è dubbio. E traspaiono nettamente dai due comunicati che Palazzo Chigi ha diffuso per raccontare le telefonate di Prodi a Siniora e ad Annan. Poi a sera, lasciando Castiglione della Pescaia dove è in riposo, il premier s’è pavoneggiato, spiegando ai giornalisti che «il colloquio con Kofi Annan è andato molto bene, perché l’Italia ha avuto un ruolo importante nel Mediterraneo e come tale riconosciuto». Il disarmo delle milizie sciite? Si augura una «soluzione politica», Prodi, «interna al governo libanese», perché «noi siamo là per aiutare il governo libanese e quindi l’integrità del Libano». E Parisi che ha detto invece che non si parte senza regole certe? «Siamo in attesa delle decisioni dei comitati tecnici, ancora in corso a New York, che riguardano le regole di ingaggio», ha risposto il premier ostentando una tranquillità surreale. Giunto a Roma non s’è sottratto alle telecamere, ed ha ribadito che non saranno le nostre truppe a disarmare hezbollah, «mi sembra un punto fermo, anche perché non sarebbe producente». I rischi enunciati da Parisi? «Ho mai detto che è una passeggiata? Se la ritenessi una passeggiata chiederei le garanzie precise e rigorose che sto chiedendo? No di certo», assicura Prodi ripetendo ad ogni emittente il contenuto dei due comunicati che, con scarsa fantasia, definiscono «lunga e cordiale» sia la telefonata ad Annan sia quella a Siniora. Però il premier libanese ha informato Prodi che il suo esercito ha preso a schierarsi a sud del fiume Litani, e lo ha tranquillizzato «assicurando che hezbollah ha accettato le disposizioni della risoluzione 1701 e che collaborerà con la forza Onu». Se si fida lui... Più lunga la nota che riferisce la telefonata della sera prima con Annan, ma il succo è che l’Italia si dice disponibile «a contribuire in modo significativo al rafforzamento della missione Onu dell'Unifil» ma occorre «mantenere uno stretto coordinamento e una costante consultazione con il segretariato generale dell'Onu per ottenere, tra l'altro, che l'Unifil abbia un mandato chiaro, privo di ambiguità e con regole di ingaggio ben precise per i militari che saranno impegnati nella zona».


A rompere le uova nel paniere ha però provveduto Parisi, che intervistato da Radio 1 ha rivelato come l’invio di un nostro contingente è subordinato ad «alcune risposte» che si attendono dall’Onu, «innanzitutto sul mandato della missione», poi «sulle regole di ingaggio», infine «sulla catena di comando». Soltanto «quando questi punti saranno chiariti, il governo potrà decidere quanti soldati mandare», dice il ministro assicurando anch’egli: «Attendiamo attivamente non passivamente questo chiarimento».

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