Il «professorino» Raz Degan ritrova se stesso in riva al Po

Visita sul set del film di Olmi, nelle sale dal 2006: «È un racconto su come vincere i preconcetti»

Il «professorino» Raz Degan ritrova se stesso in riva al Po

Carlo Faricciotti

da San Giacomo Po (Mantova)

A 74 anni e 18 film girati (contando anche quelli per la tv) Ermanno Olmi non smette di interrogarsi e interrogare lo spettatore. Come reagire non tanto ai condizionamenti («non voglio più usare questa parola, oggigiorno non abbiamo più scusanti, abbiamo la possibilità e la responsabilità di respingere i condizionamenti») quanto alla vera e propria «sudditanza», al lavoro, alle apparenze, alle mode, cui tutti siamo ormai soggetti? si chiede e chiede Olmi. «Una scelta di resistenza ideale, non violenta è quella di inchiodare il nemico, bloccarlo, incastrarlo. Se non voglio più un prodotto in casa, non lo comprerò più, anche questo significa inchiodare il nemico». E inchioda alle pareti di una libreria i libri che gli hanno dato fama e risonanza mediatica Raz Degan, il protagonista di Cento chiodi, titolo ancora provvisorio del nuovo film di Olmi, prodotto da RaiCinema e Cinema11Undici, nelle sale dalla prossima primavera. Il personaggio di Degan è un professore dell'Università di Bologna (che ha prestato i suoi ambienti per alcune riprese), «giovane, bello, ricco, famoso, un intellettuale di successo», spiega Olmi, che a un certo punto abbandona il suo rassicurante e luccicante mondo: inchioda i libri della sua biblioteca, con un gesto non blasfemo ma di liberazione, e si trasferisce a vivere in un casale lungo il Po, nel Mantovano. «Il Po, il fiume - illustra Olmi - ha qualcosa che lo differenzia dal mare: ha gli argini, i confini. Quando varchi gli argini lasci alle spalle il mondo. Per non parlare della metafora: il fiume ha una sorgente, un corso e uno sbocco, il mare, come la vita». Ma cosa spinge il personaggio di Degan a varcare i confini? «Non c'è un elemento preciso, è un sentimento di malessere indefinito, inafferrabile, una rivolta contro qualcosa che nemmeno conosce. A Tien An Men i giovani cinesi si scagliavano contro i carrarmati perché quello era il nemico. Raz non sa qual è il nemico, sa che per ritrovarsi deve rompere il confine». Evidente il parallelo con il «vero» Degan, divenuto celebre qualche anno fa per lo spot di un amaro e poi defilatosi dal mondo dello showbiz: «L'avevo intravisto qualche volta in tv, ma quando si è presentato per il provino ho notato che il suo sguardo veniva dal profondo. C'è chi guarda perché esiste e c'è chi guarda perché è consapevole di esistere, e Raz ha questo tipo di sguardo. Anche lui, come il professorino del film, è vittima dei condizionamenti, dei preconcetti, della superficialità. Anch'io ne nutrivo nei suoi confronti e ho imparato a superarli. Cambiare parere è una conquista per se stessi». E Degan, che nel film reciterà nel suo italiano da straniero, senza doppiaggi, come si trova su un set come quello di Olmi, dove non esiste sceneggiatura e il copione nasce in tempo reale? «Una grande esperienza, vissuta con gioia. Ho imparato ad ascoltare, senza fare niente. Olmi non lavora in modo tradizionale, ho dovuto sbarazzarmi degli altri metodi di recitazione. Ho imparato a cercare le emozioni dentro di me, cosa più facile a dirsi che a farsi». E se i cento chiodi del titolo servono al protagonista per inchiodare il passato, liberarsene, Olmi non ama le sceneggiature blindate: «Un momento di vita bloccato in un fotogramma è immobilizzato, la vita è sempre in movimento, un film no.

Ogni volta che dico “stop” già mi pento di aver fermato per sempre quell'istante che ho appena girato. Il mio ideale sarebbe tornare alla Commedia dell'arte, al canovaccio che mutava ogni sera, a seconda del pubblico, del tempo, dell'umore degli attori».

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