TorinoPazienza e identità. Potrebbero essere le due parole d'ordine di Antonio Conte. Di professione, allenatore di una Juventus che «vuole fare l'impossibile per tornare in alto, ma senza buttare fumo negli occhi dei tifosi». Impossibile quindi parlare oggi di scudetto anche se (più o meno) per caso dovesse arrivare un successo contro il Milan nell'ormai classico Trofeo Berlusconi. Senza nemmeno avere bisogno di ricordare che l'anno passato la truppa di Delneri si impose 5-4 ai calci rigore, il nuovo comandante della nave bianconera ammette che gli «scappa da ridere a pensare che dopo il pareggio contro il Betis Siviglia eravamo una squadra da rifare, mentre ora c'è chi parla addirittura di scudetto. Bisogna affrontare le cose in maniera razionale: Milan e Inter vengono dall'avere vinto scudetti e non solo, noi da due settimi posti».
Così è, in effetti. Il problema è che, trattandosi di Juve, tutto viene amplificato: speranze, obiettivi, orizzonti. «Tra noi e le milanesi c'è una distanza importante - prosegue Conte -. Il tutto però non ci deve creare alcuna preoccupazione, ma fungere da stimolo. Io ho grande pazienza nel cercare di trasmettere le mie idee e mi fa ben sperare l'avere giocatori che hanno voglia di tornare protagonisti come se non più di me. Qualsiasi cosa accada nel "Berlusconi", non si dovrà però parlare né di tricolore né di settimo posto. L'importante è che ci sia voglia di lavorare e di mettere le fondamenta giuste senza pensare di essere già arrivati al tetto della casa che stiamo costruendo».
Lo avesse detto Ranieri, qualcuno gli sarebbe saltato addosso: Conte, bianconero doc, può invece permettersi il lusso di tirare il freno per poi precisare che «non sconsiglio l'uso della parola scudetto, perché è nella storia della Juve e per me si tratta di un qualcosa di abbastanza usuale. Dovremo anzi riabituarci a un'idea che ultimamente è stata troppo lontana: volendo però essere realisti, dico solo che siamo sulla strada giusta». Per percorrerla al meglio, urge darsi un'identità precisa. Tradotto: il 4-2-4 non si abbandona perché «tutte le grandi hanno il loro modo di essere. Per me sarebbe più facile giocare di rimessa, ma la Juventus deve comandare la partita e non aspettare che il gioco lo facciano gli altri. Poi può anche capitare di cambiare atteggiamento per congelare la partita: a volte, pur di vincere, ho finito anche con il 5-4-1. Ma si è trattato di situazioni particolari». Avanti senza ripensamenti, allora. Con un Vidal in più nel motore («giocatore polivalente che potrà aiutarci in tanti modi, appena avrà davvero capito come essere utile alla squadra sia in fase di possesso che di non possesso») e l'idea di avere «tutti attaccanti che si sposano bene tra di loro. Ho ampia scelta, ma loro devono assicurarmi sempre i movimenti giusti».
Perfezionista. Metodico. Sacchiano nel suo integralismo.
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