Pugni sul tavolo e giudici divisi: così volevano mandare il Milan in B

Parte della commissione chiedeva la retrocessione dei rossoneri. Alla fine si è imposto Ruperto. E continua il giallo sulla fuga di notizie

Gian Piero Scevola

da Milano

Sei giorni di camera di consiglio con l’ultimo, un drammatico venerdì tutto da decifrare, costituiscono lo sfiancante lavoro della Caf dove tutte le decisioni sono state prese all’unanimità. Sulla carta però, come si usa da sempre nelle due massime espressioni disciplinari della federcalcio, Caf appunto e Corte federale, perché in realtà il dibattito è stato acceso, talvolta aspro, qualche pugno sul tavolo è stato sbattuto. A cominciare dalla pesante decisione sulla Juventus che si è salvata dalla C per la collaborazione offerta dal difensore avvocato Cesare Zaccone, ma che non è stata immune da contrasti sul numero dei punti penalizzanti. Perché originariamente dovevano essere 20 i punti, poi all’ultimo momento sono diventati 30 per l’impostazione data da Giuseppe Marziale, esperto di diritto societario e commerciale: con la vittoria che assegna tre punti, la penalizzazione deve essere maggiore, di almeno dieci partite, è stata la sua impostazione. Anche perché i quattro componenti della Caf si erano divisi club e responsabilità: Zoppellari (Milan), Marziale (Juventus), Porceddu (Fiorentina), Lo Piano (Lazio), con Ruperto a sovrintendere.
Altro dibattito acceso si è registrato sulla posizione del Milan: mandarlo in B per la responsabilità oggettiva dell’articolo 6 o salvarlo in A con penalizzazione. E qui il contrasto è stato forte, tra l’avvocato bolognese Mario Zoppellari che chiedeva la «caduta» dei rossoneri e chi invece (Lo Piano e Porceddu) tendeva a salvarlo proprio per la gradualità delle pene. Su questo affaire si sono perse ore, ognuno restava sulle sue posizioni finché il presidente Ruperto s’è imposto ordinando di trovare l’unanimità: e il Milan è rimasto in A con una pesante penalizzazione, però.
Inevitabili anche le pressioni perché non è possibile che Guido Rossi, dopo aver ordinato un processo super veloce, non abbia anche voluto influire sulle decisioni. Ma, in questo caso, la risposta è netta: nessuna pressione è stata esercitata sui cinque giudici della commissione; non accennate a Ruperto di pressioni o condizionamenti perché la sua risposta, da vecchio gentiluomo calabrese, sarebbe molto, ma molto pesante.
Più delicata invece la fuga di notizie che si sarebbe registrata la sera prima delle sentenze e che Carlo Verdelli, direttore della Gazzetta dello Sport, ha parzialmente confermato. Troppo precise le anticipazioni sulle retrocessioni e, soprattutto sulle penalizzazioni: qualcosa deve essere uscito dalla camera di consiglio. La reazione di Ruperto & C. sull’argomento è di netta chiusura: nessuno ha parlato con i giornalisti, anche se il via vai mentre la commissione discuteva era da passeggio in piazza Duomo, visti i tanti dipendenti della Figc, segretarie, impiegati, sicurezza che andavano avanti e indietro.
Perché tra l’ascolto delle intercettazioni telefoniche, le fotocopie per i vari atti, le trascrizioni e tutto quello che ruotava attorno alle 154 pagine finali delle sentenze, i membri della Caf erano circondati da almeno 15 persone.

Che qualcuno abbia sentito è certo, che qualcuno abbia riportato all’esterno è probabile. Ma è altrettanto chiaro che i dubbi sul silenzio restano e allora ben farebbe Rossi ad aprire un’indagine interna per tentare di scoprire chi è la gola profonda di questo maxiprocesso.

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