Putin lancia la sfida dei missili a Usa ed Europa

La Russia: "L’intenzione americana di creare uno scudo difensivo in Polonia e nella Repubblica Ceca trasformerà il Vecchio Continente in una polveriera". Testato un vettore intercontinentale in grado di portare più ordigni nucleari e capace di colpire diversi bersagli simultaneamente

Putin alza ancora una volta il tiro contro l’America, passando per l’Europa. E questa volta non solo a parole. Mosca ha annunciato di aver testato con successo un nuovo missile intercontinentale, dotato di testate Mirv, ovvero in grado di trasportare più ordigni nucleari capaci di colpire diversi bersagli simultaneamente. L’Rs 24 è stato lanciato dalla base di Pletsek, 500 chilometri a nord di Mosca, e ha colpito gli obiettivi prestabiliti in Kamatchaka, nell’estremo oriente, a nord del Giappone. Una prova di forza, riuscita. E al contempo un avvertimento alla Casa Bianca: il Cremlino è pronto a riprendere la corsa agli armamenti e dunque ad aumentare ulteriormente gli stanziamenti destinati alla Difesa, che per il 2007 ammontano a 11 miliardi di dollari, con un incremento del 29% rispetto al 2006.
Che cosa Putin voglia - anzi, non voglia - è noto: lo scudo missilistico che Washington intende creare in Polonia e nella Repubblica ceca a protezione dell’Europa dell’Est. Per il presidente russo è un’opzione inaccettabile e provocatoria a cui intende opporsi in ogni modo, come ha ribadito, ricevendo a il primo ministro portoghese José Socrates: «Noi russi riteniamo nociva e pericolosa la trasformazione dell’Europa in una polveriera riempita con nuovi tipi d’armi», aggiungendo che l’iniziativa statunitense «crea nuovi e inutili rischi per il sistema internazionale e le relazioni con l’Europa». Il messaggio è aggressivo inequivocabile: gli americani sappiano che vanno incontro a una guerra fredda planetaria, gli europei che avallando il progetto potrebbero compromettere i loro rapporti con la Russia, ovvero con il Paese da cui dipendono per il gas. Putin non ha nemmeno bisogno di accennare a un possibile ricatto energetico; la minaccia è implicita e, dopo quanto accaduto in Ucraina e in Bielorussia, preoccupa non poco i leader dell’Unione europea.
Proprio il metano ha ridato vigore economico a un Paese che nemmeno dieci anni fa era in bancarotta. Ma la ricchezza bisogna saperla gestire e lo zar Vladimir non sembra possedere questa virtù. Negli ultimi tre anni ha limitato fortemente la democrazia all’interno del Paese, ha ridato poteri quasi illimitati al Kgb, permesso omicidi spettacolari e impuniti come quello della giornalista Anna Politokvskaja o dell’ex agente Litvinenko a Londra. Ha cacciato decine di organizzazioni umanitarie straniere, l’ultima meno di 24 ore fa, l’Internews Network, i cui conti sono stati congelati con l’accusa di evasione fiscale. E ha perseguito una politica estera interventista non solo nelle zone di tradizionale influenza (come l’Ucraina e la Georgia che erano passate sotto l’ombrello americano), ma più in generale sullo scacchiere internazionale, schierandosi sistematicamente in contrapposizione all’America, talvolta con intelligenza, più spesso con brutalità.
Il ministro della Difesa Ivanov ne ha dato ulteriore prova ieri, rimettendo in questione pubblicamente, anziché per vie diplomatiche, il Trattato sulle forze intermedie (Inf), uno dei pilastri dei nuovi equilibri post-sovietici: firmato nel 1987 dagli allora leader Reagan e Gorbaciov, prevede l’eliminazione dei missili balistici e «cruise», nucleari e convenzionali con una gittata fra i 500 e i 5500 chilometri. Quell’accordo per Ivanov è «inefficace» perché «si sono manifestati diversi Paesi che possiedono questi missili, mentre Russia e Usa non hanno diritto di possederne» e questo «è un fattore che non ci sfugge».
Poi ha ribadito il no al Trattato sulle forze convenzionali in Europa (Cfe), sospeso da un mese. Mosca insiste nel ritenere che «non funzioni» perché impedirebbe all’Armata Rossa «di munirsi armamenti moderni e precisi».
E gli Usa come reagiscono? Per ora con cautela.

Da qualche settimana il segretario di Stato Condoleezza Rice cerca di avviare un dialogo con il Cremlino, peraltro con scarso successo, e lancia segnali distensivi: la richiesta russa di una conferenza internazionale per risolvere la questione del Cfe è stata accolta e si svolgerà a Vienna a metà giugno. Un gesto di buona volontà, che però non modifica il quadro: per Washington e buona parte degli europei Putin non è più un amico.

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