Quando andò in tv a giurare: «Se la casa è di Tulliani lascio»

RomaTacere, tacere e poi tacere. E poi, se proprio parlare si deve, farlo evitando ogni confronto diretto. E comunque negare, sviare, minimizzare. Gianfranco Fini sulla questione Montecarlo usa da mesi la tattica dello struzzo, preferendo il rischio da passare un po’ per fesso alla certezza dell’harakiri politico. Una tattica che mostra, ora che la partita è riaperta, tutti i suoi limiti.
Lo scandalo della casa di Montecarlo scoppia il 28 luglio, quando esce il primo articolo sul nostro giornale. Fini però non fa sentire la sua voce fino all’8 agosto, quando in una torrida domenica, dopo una velenosa quanto gratuita premessa («Ben vengano le indagini, a differenza di altri non ho l’abitudine di strillare contro i magistrati comunisti») racconta le sue prime verità. Ma sono verità che fanno acqua da tutte le parti. «L’appartamento di Montecarlo fu valutato 450 milioni di lire». E poi: «Era in condizioni fatiscenti, inabitabile». E soprattutto: «Qualche tempo dopo la vendita ho appreso da Elisabetta Tulliani che il fratello Giancarlo aveva in locazione l’appartamento. La mia sorpresa e il mio disappunto possono essere facilmente intuiti». In definitiva, non chiarisce un bel nulla.
L’inchiesta giornalistica va avanti e svela ogni giorni nuovi particolari, sforna ogni settimana nuove conferme. Centinaia di migliaia di italiani firmano la nostra richiesta di dimissioni del presidente della Camera. Parte anche l’inchiesta della procura di Roma. Ma da Fini e da Elisabetta Tulliani arrivano solo periodiche minacce di querela nei nostri confronti. Il 21 agosto parla Giancarlo Tulliani. Il «cognatino» di Fini, in base ad alcune frasi attribuitegli da qualche giornale, è sicuro: «Stanno perdendo il loro tempo. Possono continuare a cercare all’infinito, non troveranno mai nulla perché non c’è nulla da trovare», dice riferendosi ai suoi rapporti con la Printemps e con la Timara, le due società off-shore che hanno legami con la vendita dell’appartamento di 70 metri quadrati al piano rialzato del numero 14 di boulevard Princesse Charlotte. Il giorno dopo, 22 agosto, si sente per la prima volta la flebile voce di lady Fini: «Alcune ricostruzioni fornite in questi giorni da organi di stampa su immobili di mia proprietà sono frutto di una scelta deliberata di ignorare l’evidenza al fine di gettare discredito sulla mia persona per intuibili ragioni politiche».
Poi un lungo silenzio. Interrotto il 24 settembre da un videomessaggio del presidente della Camera, che l’Italia attende con ansia, sperando finalmente in qualche parola definitiva. Ma si deve accontentare di qualche timida e confusa ammissione: «Mi rimprovero forse una certa ingenuità, ma non ho mai commesso reati con i soldi pubblici». Però sul cognato Fini mette la mano sul fuoco. Anzi, la sua poltrona di presidente della Camera: «Se dovesse emergere con certezza che Giancarlo Tulliani è il proprietario e che la mia buona fede è stata tradita, non esiterei a lasciare la presidenza della Camera». Coraggio? Diciamo piuttosto un bluff, visto che in base alle carte giunte alla Farnesina da Saint Lucia la casa di Montecarlo sarebbe direttamente riconducibile al Tullianino ma che Fini è sempre al suo posto.

Il quale Fini dopo il videomessaggio di fine settembre torna a tacere e ritrova la parola solo dopo il 26 ottobre, quando con un garbo a lui solo riservato la Procura di Roma dà notizia contestualmente del fatto che era indagato e dell’archiviazione dell’inchiesta. «Visto? Non c’era niente da temere», si lascia sfuggire con i suoi. Le ultime parole famose.

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