Quando Scalfaro predicava il federalismo

Anche sulla riforma costituzionale sulla quale ci pronunceremo nel referendum del 25 e 26 giugno, il centrosinistra tanto per cambiare si è spaccato in due. Si contendono il campo, guardandosi in cagnesco, due scuole di pensiero. Da una parte i conservatori, che fanno quadrato attorno alla Carta del 1948: quasi che dai tempi dell’Assemblea costituente non fossero trascorsi anni luce. Dall’altra i riformisti a corrente alternata. Che invitano a votare no al referendum confermativo ma si ripromettono di modificare la Costituzione subito dopo grazie a un accordo tra maggioranza e opposizione.
I conservatori incalliti hanno eretto a santo patrono Oscar Luigi Scalfaro. L’ex presidente della Repubblica sta girando in lungo e in largo lo Stivale scagliandosi con veemenza, tra un tripudio di bandiere rosse, contro il centrodestra. E perché mai? Per la semplice ragione che la Casa delle libertà si è azzardata a modificare la parte seconda della Costituzione, concernente l’organizzazione dello Stato. Così, come un disco rotto, Scalfaro ripete di continuo le stesse cose. La figura e i poteri del primo ministro sarebbero nientemeno che un attentato alla democrazia. Il Parlamento uscirebbe umiliato. Al capo dello Stato non resterebbero neppure gli occhi per piangere. Il federalismo minerebbe l’unità della Repubblica.
Ora, le favole metropolitane sono tante. Troppe. Il premierato non piace? Ma era previsto dal programma del centrosinistra del 1996 e dalla bozza del diessino Salvi predisposta ai tempi della commissione D’Alema. Il federalismo produce l’orticaria? Ma fu introdotto in solitudine dall’Unione nel 2001 ed è stato corretto al meglio dalla Casa delle libertà. Se le modifiche alla forma di Stato e di governo non sono mai piaciute a Scalfaro, perché mai non è insorto quando era il centrosinistra a farsene promotore? Insomma, la riforma non piace perché l’ha realizzata la Casa delle libertà.
Il bello è che i suoi campioni l’Unione se li cerca con il lanternino. A riprova che chi si firma è perduto, gioverà ricordare che cosa disse Scalfaro il 28 maggio 1992 nel discorso d’insediamento. «Tutti i partiti, da tempo, unanimemente, sostengono la necessità delle riforme delle istituzioni. Ora non è più consentito attardarsi in questioni anche eleganti, ma altrettanto inconcludenti. Delle proposte sono state seriamente studiate, elaborate, sottoposte al vaglio del Parlamento, ma tutto è rimasto fermo e il dialogo o non è nato o non ha prodotto effetti. Di fronte a tale situazione, che diventa incomprensibile anche per la gente, occorre volontà politica determinata ed efficace, occorre serietà di intenti e di comportamenti».
E ancora: «Per questo il Presidente della Repubblica rivolge, fin da questo momento, in questa Assemblea solenne, rispettoso ma fermo invito al Parlamento perché proceda alla nomina di una Commissione bicamerale con il compito di una globale e organica revisione della Carta costituzionale». Nel 1992, dunque, Scalfaro la riforma costituzionale non solo la predicava ma la voleva, pensate, «globale e organica». Oggi si è scordato del passato. Perciò il no assoluto alla riforma è assurdo. Ma anche il no condizionato, cavalcato da Barbera e Ceccanti, è fuori dal mondo. Perché se prevarrà il no, saremo condannati all’immobilismo per chissà quanti altri decenni.

Se invece vincerà il sì, finalmente usciremo dalla transizione. E maggioranza e opposizione potranno sempre apportare qualche utile correttivo a una riforma che andrà compiutamente a regime nel 2011 o nel 2016.
paoloarmaroli@tin.it

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