Gianandrea Zagato
da Milano
Cerano lappuntamento, gli annunci su internet e quella bandiera da bruciare. Quel vessillo di Israele calpestato e poi dato alle fiamme. Non una ma due volte, tra gli slogan cari alla sinistra che indossa la kefiah, luniforme dellIntifada. Tutto organizzato, tutto premeditato e tutto firmato dal Coordinamento di lotta per la Palestina.
Trenta, quaranta militanti che, ogni mercoledì sera, ospiti del centro proletario Ilic si ritrovano al civico 91 di viale Sarca. Sono loro a scaldare gli animi di quello spezzone del corteo del 25 aprile: «Israele assassini», «Un sasso qui, un sasso là e Intifada vincerà», «Palestina libera, Palestina rossa». La piazza applaude e non butta per terra nemmeno un-volantino-uno distribuito dal manipolo pro-palestinese, dove cè solidarietà «alle vittime dei terroristi ebrei», appoggio alla «lotta contro la guerra imperialista» e alla «resistenza del popolo iracheno».
Girotondini dessai, no-global da librerie Feltrinelli, ex comunisti, post-comunisti e sindacalisti Cgil-spi quasi quasi ringraziano e, perché no, fischiano pure loro quelle altre bandiere di Israele orgogliosamente portate in corteo dalla comunità ebraica. Fischi e insulti firmati anche da alcuni palestinesi arabi, quegli stessi che, prima e dopo la manifestazione, hanno dato alle fiamme alcuni vessilli con la stella di Davide in campo bianco. Chi sono? Sono ospiti di un centro sociale meneghino che non è solo un indirizzo ma un marchio di peso per chiunque abbia mai seguito le cose di quellarea anarco-insurrezionalista: Panetteria occupata di via Conte Rosso. Un riferimento costante nella galassia dellestremismo rosso - «un nome, un peso e gente che conta» spiega un investigatore -, luogo cult della disobbedienza dove trovano asilo anche ex militanti della colonna Br Walter Alasia.
È lì, a due passi dalla stazione ferroviaria di Lambrate, che si allevano le nuove leve dei ribelli «sociali» cresciuti allombra dei centri storici dellantagonismo milanese. È pure lì che si organizza di «scaldare» il sessantunesimo anniversario della Liberazione. Come? Non limitandosi solo ai leit motiv crudeli urlati nel megafono o alle scritte vergognose sui muri, bensì a quellatto infamante che è mettere al rogo le bandiere israeliane. Gesto pensato, coordinato e poi attuato da tre palestinesi arabi che, dicono dalla Questura, non «sono stati identificati» perché «hanno dato alle fiamme non il vessillo ufficiale dello Stato israeliano bensì un pezzo di stoffa color bianco con sopra dipinta la stella di Davide color blu».
Escamotage che, se pure «non offre elementi tali per configurare un reato, per procedere contro chi ha bruciato la bandiera», nulla toglie alla gravità dellepisodio, anzi aggiunge qualcosa di orribilmente vergognoso e insopportabilmente doloroso. E mentre una denuncia per «manifestazione non autorizzata» è già stata trasmessa dagli uffici della Questura di via Fatebenefratelli allautorità giudiziaria, sempre dagli uffici della Digos milanese avvertono che «è in corso la visione con attenzione dei filmati e delle fotografie» e che, quindi, «se da questa visione dovessero emergere elementi probanti, oltre a identificare i tre che portavano questo pezzo di stoffa e che lhanno incendiato, procederemo ad altra denuncia».
Una in più per chi si traveste da alfiere dellIntifada palestinese e sobilla il peggior antisemitismo grazie anche al leader dellUdap, Unione democratica arabo palestinese, Chokri Al Jawazneh, che è pure luomo di riferimento del radicale Fronte popolare per la liberazione della Palestina.
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