Quella Babele chiamata Europa

Turi Vasile

Lorenzo Valla sosteneva che l’unità della lingua era la prima inderogabile condizione per ogni costituenda confederazione di Stati e per la sua durata. Valla era un letterato napoletano del Quattrocento e le sue affermazioni riflettevano la sofferta ricerca di un nuovo metodo filologico e linguistico per una più rapida e corretta comunicazione.
Da allora sono passati secoli; ricordare Valla potrebbe sembrare lo sfoggio di una citazione se la storia non gli avesse dato e non gli desse pienamente ragione. Sono ancora a noi vicine nel tempo e nello spazio le improvvise disgregazioni dell’Unione Sovietica e della Federazione Jugoslava: dissolta la tirannia ideologica che teneva legati tra loro vari Stati di vari idiomi, sono subito affiorate diversità contrastanti, rese più virulente dal lungo sonno ed esplose più volte in battaglie sanguinose e in efferate vendette. Dall’altra parte, e sotto i nostri occhi, la tenuta, dopo l’iniziale scontro, degli Stati nordamericani che, pur tra tante etnie, hanno comune la lingua.
Per non restare pedissequamente legati al vaticinio di un antico umanista, si può tuttavia riconoscere che la simultanea comunicazione attraverso le immagini possa parzialmente ovviare ora alla diversità della lingua, resta insuperabile però la necessaria unità del linguaggio.
Un tale cemento sognavano indubbiamente i Grandi Progettisti dell’Europa Alcide De Gasperi, Robert Schumann e Konrad Adenauer. Italia, Francia, Germania e anche Spagna e Portogallo avevano multisecolari esperienze comuni, per ricordarle in un sommario e grossolano excursus dal Medio Evo al Rinascimento all’Illuminismo al Romanticismo e via di seguito fino alla dittatura abbastanza recente.
Tutti fenomeni metabolizzati secondo il genio di ciascuno, ma vissuti e sviluppati con comune fedeltà sostanziale. Della lontana origine cristiana è prudente tacere per amore di pace, visto che il trattato tra gli Stati che passa sotto il nome di Costituzione europea non ne fa volutamente cenno. E si capisce perché: l’Ue è diventata un fondaco con ingresso libero a ospiti di varia derivazione geografica ed etnica e ha nella sua lista di attesa oggi la Turchia, domani chissà...
Il povero Valla inorridirebbe davanti a tante lingue, forse più numerose di quelle che portarono Babele a rovinosa confusione. Quanto all’unità del linguaggio inutile parlarne, essendo difformi e spesso opposte la cultura, la religione, le tradizioni e le usanze degli Stati membri e degli Stati aspiranti. Apprezzabilissima l’intenzione di promuovere una universale tolleranza a condizione però che non si creino egemonie e non si alimenti rinfocolandola la brace sotto la cenere.
Tanto per ripeterci: historia docet.
Gli europeisti intanto esaltano la pace che dura ormai da decenni in Europa; e l’unità monetaria, che di solito viene per ultima nei processi di unificazione nazionale e che invece in questo caso ha ottenuto la priorità, è difesa da economisti eccellenti come un collante più saldo e più duraturo della ideologia.
È una soluzione materialistica; ma così va il mondo... Anche noi meschini siamo convinti che indietro non si possa più tornare e che il più piccolo rigurgito nostalgico vada contraddetto. Ci sorregge la speranza che questi anni di evidenti eurosacrifici ci vengano ripagati con un più equo costo della vita, con una maggiore possibilità competitiva, con un alleggerimento dell’ingranaggio burocratico europeo che oggi rischia di stritolarci.
Certo, i recentissimi no di Francia e Olanda e il conseguente espandersi di un euroscetticismo sommerso, impongono un coraggioso ripensamento e la scrittura di una vera Costituzione.

Un contributo chiarificatore lo darebbe un maggiore e più fitto scambio culturale reciproco alla ricerca di ciò che ci può unire, lontano dalle divisioni faziose suggerite spesso da una politica cattiva consigliera. Sebbene sia proibito nominarlo, Dio salvi l’Europa.

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